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La partita sulla giustizia è sempre delicatissima, ma la necessità di assicurarci i fondi del Recovery europeo non consente più di giocarla per finta. Bisogna concludere qualcosa.

Le opportunità ci sono, perché la scelta come Guardasigilli dell’ex presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia sottrae l’operazione alla titolarità di un qualche partito a scapito di altri e al tempo stesso rende difficile sostenere che a guidare l’operazione ci sia qualche “nemico dei giudici”, visto che la Consulta è un vertice reale del sistema delle garanzie giuridiche.

Ormai siamo entrati nel cuore del confronto fra i partiti con due problematiche distinte. La prima, ovvia, è quale posizione prendere nei confronti di quanto propongono le commissioni di studio attivate dal ministro della Giustizia.

La seconda riguarda l’atteggiamento da assumere sull’iniziativa congiunta di Radicali e Lega che hanno presentato sei quesiti referendari su temi importanti della riforma del sistema giudiziario. Ovviamente le due questioni si intersecano e si discute se la seconda non sia d’inciampo alla prima.

La matassa è certo molto intricata perché in realtà non hanno tutti i torti coloro che, a partire dai Radicali e Salvini, sostengono che i due ambiti sono distinti, in quanto i temi toccati dai referendum non sarebbero materia delle riforme promosse dal ministero di via Arenula.

In effetti la ministro Cartabia ha in mente innanzitutto una nuova regolamentazione del sistema del “dare giustizia”, che è quanto interessa prevalentemente a Bruxelles.

Detto proprio in soldoni, si tratta di rendere gli iter giudiziari espletabili in tempi ragionevoli, di impedire le deviazioni dovute alla spettacolarizzazione dell’esercizio della funzione di indagine, di rinforzare il quadro delle garanzie dell’imputato che non può essere considerato a priori un fondatamente presunto colpevole e tenuto a lungo in quella infamante condizione. Poi c’è qualche annesso tipo la riforma del CSM, che però va sempre riconnesso a quegli obiettivi principali.

Il contenuto dei referendum radical-leghisti ha invece altri obiettivi: vuole intervenire su un diverso modo di inquadrare il potere della magistratura, partendo dal presupposto che non si possono avere in un sistema democratico poteri privi di responsabilità e di vincoli.

Di conseguenza funzione giudicante e pubblica accusa hanno statuti distinti e chi le riveste non può cambiare toga, chi sbaglia deve pagare anche se è un magistrato, i poteri della fase d’indagine e processuale devono limitarsi nel restringere le libertà di un indagato (anche qui ci sono poi dettagli).

Ora la valutazione se le due impostazioni, su cui al momento non diamo giudizi di merito, confliggano indebolendosi a vicenda è delicata. Da un lato non c’è dubbio che la successione temporale fra i risultati delle due iniziative conta.

Se passasse la riforma Cartabia nei tempi dovuti (entro fine anno) non c’è dubbio che la potenzialità d’impatto della chiamata referendaria si indebolirebbe con il rischio concreto che per recuperarla si avvii una radicalizzazione del confronto politico che potrebbe creare non pochi problemi alla sua ricezione pratica (le riforme funzionano quando poi diventano vita concreta, non basta che siano scritte sulla carta della Gazzetta Ufficiale).

Dall’altro lato è vero che la minaccia di dover poi affrontare i referendum potrebbe suggerire prudenza a tutte quelle forze che della riforma Cartabia non ne vogliono sapere (e sono più di quel che si sospetta): dopo aver registrato il fallimento della riforma e le connesse conseguenze sul PNRR la gente potrebbe essere spinta a dare la spallata finale al sistema.

Non è però tutto così semplice. Innanzitutto i referendum sono abrogativi, cioè creano dei vuoti legislativi che non è detto rimangano tali. L’abbiamo visto più volte in passato, memorabile l’abolizione del ministero dell’Agricoltura che si risolse nel cambiargli nome.

Giochetti simili sono più che possibili anche se venissero approvati i quesiti posti da radicali e leghisti e suffragati dal consenso popolare. In secondo luogo quei quesiti sono pensati in subordine alla riforma Cartabia, perché nulla dicono su quella rimodulazione di sistema prevista da essa, sicché senza una approvazione di questa, quelli migliorano relativamente il quadro.

Per dire: benissimo chiamare a rispondere in solido un magistrato che sbaglia per presunzione ed ottusità, ma questo avverrà alla fine di un iter processuale che al momento, coi tempi attuali e senza prescrizione, ha una durata biblica.

A nostro modesto parere queste considerazioni dovrebbero portare a concentrarsi intanto sul buon esito della riforma Cartabia, che segna un passo avanti notevole. Arrivare in porto con essa non sarà un’impresa facile, considerando le resistenze grilline esposte alla luce del sole e senza dimenticare che ci sono molte resistenze occulte che possono trovare molti modi di farsi sentire.

Un vasto consenso su quella riforma, anche rinunciando alla tentazione perversa di cavillarci sopra piantandoci le varie bandierine identitarie, sarebbe il miglior modo per mostrare che sta davvero maturando quel nuovo clima che si è creduto di intravvedere in queste ultime settimane e che è agevolato dalla crescita di consenso verso Draghi e la sua squadra registrato in vario modo.

Sarebbe più utile questo segnale che non la corsa a cavalcare gli slogan su giustizialismo, garantismo e tutti gli altri che nella lunga stagione passata sono serviti più ad incentivare spirito di fazione che a ridarci quel bene essenziale che è una appropriata e corretta fruizione della giustizia.


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