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Giorgia Meloni

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Le convocazioni erano già partite per il vertice a tre sull’autonomia differenziata. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani si sarebbero dovuti confrontare sul dossier più caldo della maggioranza. Era tutto pronto. C’era già chi parlava di redde rationem, di scontro tra le parti. Poi, d’un tratto, si diffonde la voce che si cambia schema. La riunione viene allargata ai ministri Raffaele Fitto, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Calderoli «per fare il punto a inizio anno su tre temi: autonomia, riforme e presidenzialismo».

LA BATTAGLIA DI MELONI

Quando la notizia arriva in Transatlantico le truppe di Berlusconi tirano un sospiro di sollievo, perché in questo modo – dicono – «non si dà l’idea che ci si occupa solo di autonomia». «Meno male» fa eco un parlamentare esperto di FdI.

Si tratta di una mossa utile a depotenziare i dissidi e a tenere insieme una coalizione che sul tema è più divisa che mai. Un’ora e mezza di vertice che si conclude a tarda sera con una nota che parla di «grande sintonia, in linea con gli impegni assunti con gli italiani». Cui segue l’annuncio che «si è concluso il percorso tecnico e politico per arrivare, in una delle prossime sedute del Consiglio dei ministri, all’approvazione preliminare del disegno di legge sull’autonomia differenziata».

Tutto risolto? Non c’è fretta. Non a caso, si sottolinea che «non necessariamente sarà il primo Consiglio dei ministri che vedrà impegnato il governo» e, soprattutto, «approvazione preliminare significa che ci sarà un ampio dibattito in Parlamento».

In questo contesto il Carroccio non intende perdere tempo e vuole approvare il disegno di legge Calderoli prima delle Regionali in Lombardia, così da massimizzare i consensi, alla luce del crollo dell’ultimo anno.

Palazzo Chigi non solo frena, ma vorrebbe ridefinire il testo, apportare delle modifiche per eliminare quelle che i governatori del Mezzogiorno definiscono «storture, utili a divaricare ancora più il nord dal sud». Meloni conduce questa battaglia insieme a Forza Italia. L’inquilina di Palazzo Chigi vorrebbe legare il destino della riforma dell’autonomia al presidenzialismo. Una strategia, quella del premier, che dilaterebbe i tempi perché la revisione della Carta costituzionale prevede una doppia lettura tra Camera e Senato.

Dalle parti di FdI e Forza Italia sono convinti che la riforma dell’autonomia può essere approvata soltanto quando saranno quantificati i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni sui quali negli passati la riforma si è proprio arenata. Non vuole forzare, Meloni, sulla riforma cara al Carroccio, perché sa che imploderebbe il Sud. E si spaccherebbe il Paese.

È in scia il vicepremier Tajani, che qualche giorno fa, a margine di un’iniziativa azzurra nel Salernitano, si è lasciato andare così: «Lavoreremo anche perché l’autonomia differenziata non sia un’autonomia che penalizzi il Sud. Bisogna fare i Lep, bisogna anche pensare a un fondo di perequazione. Siamo al lavoro perché sia una riforma equilibrata che avvantaggi sia il Nord sia il Sud».

FORZA ITALIA E L’OPPOSIONE

L’idea del vicepremier azzurro è in fondo in linea con quella di un partito, Forza Italia, che ha ormai il suo feudo principalmente al Sud, ovvero in Sicilia, Campania e Calabria. D’altro canto, il Cavaliere ripete sempre il concetto davanti ai fedelissimi: «Non siamo contrari all’autonomia ma non si deve penalizzare il Sud».

In questo contesto si inserisce la posizione di Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, stampella di centro che sostiene il governo, che proprio ieri ha incontrato la ministra per le Riforme, Elisabetta Casellati. Durante il confronto con la ex presidente del Senato, Lupi ha messo a verbale che «l’autonomia differenziata è una cosa e le riforme sono un’altra. La sfida sono i 5 anni di governo, poi su 5 anni ci sono priorità che ci stiamo dando, ci confronteremo anche sull’autonomia differenziata, ma non credo che si farà per il 12 febbraio, quando si vota in Lombardia e Lazio».

Dichiarazione che ha stroncato il tentativo dei leghisti di forzare: «Vinceremo in Lombardia e nel Lazio non perché si farà l’autonomia, ma perché in Lombardia il centrodestra ha governato molto bene e nel Lazio, a fronte di un governo pessimo del centrosinistra, abbiamo un ottimo candidato. Comunque, mai rincorrere pensando che gli elettori ti scelgono perché approvi rapidamente l’autonomia differenziata. Basta guardare la realtà».

Tutto questo è sufficiente per frenare l’iter di una riforma che non convince del tutto Palazzo Chigi. Meloni non apprezza l’idea di un fondo di perequazione senza un euro. Oltretutto, dalla war room di piazza Colonna confidano che materie come la scuola e l’energia debbano restare allo Stato. Insomma, si devono sciogliere alcuni nodi. I Lep, prima di tutto. L’Esecutivo cercherà di coinvolgere l’opposizione. Ma non sarà facile.

Molto duro Francesco Boccia, ex ministro agli Affari regionali e alto dirigente del Pd: «Questo maldestro disegno spaccherebbe l’Italia in due, condannando i cittadini del Sud, così come quelli delle aree interne e di montagna, a vivere sempre un passo indietro sui diritti universali. Il governo rispetti la sovranità del Parlamento».


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