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Carlo Bonomi

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L’autonomia non può e non deve diventare un tema che «spacca il Paese», che ne mette a rischio la coesione e ne «penalizza la crescita e la stabilità finanziaria». Confindustria frena sul regionalismo differenziato di fronte all’accelerazione impressa dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, su cui Palazzo Chigi ha invece provato a rallentare i tempi.

Serve un ripensamento sulle 23 materie che la Costituzione prevede possano essere delegate alle regioni, perché alcune come fonti energetiche, infrastrutture, grandi reti sono strategiche per l’economia nazionale e parte di quella europea. E c’è il tema dei divari che chiama in causa i Lep e la necessaria riallocazione della spesa pubblica.

Il presidente Carlo Bonomi e il suo vice Vito Grassi – che è anche presidente del Consiglio delle rappresentanze regionali dell’associazione – hanno affrontato la questione in questi termini, lanciando un monito al governo, durante il convegno “Transizione e sviluppo: il futuro dell’Ue e delle Regioni” organizzato da Confindustria a Venezia. Un alert che il ministro, che ha preso parte all’evento, ha respinto al mittente: «Nessuno vuole spaccare alcunché», ha detto per poi “ingranare la marcia” annunciando per il 31 gennaio la presentazione di una nuova bozza della riforma in pre Consiglio dei ministri». Questi i tempi previsti dal ministro: l’approvata la prossima settimana «in via preliminare, poi andrà in Conferenza unificata e quindi approvata in Consiglio dei ministri, per essere poi sottoposta al dibattito parlamentare. Entro un anno abbiamo tutto. Cabina di regia compresa». Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha auspicato possa essere approvata il 2 febbraio dal Cdm, a vantaggio, ha sottolineato, di «tutta l’Italia, non solo per il Nord».

L’invito degli industriali a non affrettare i tempi su una questione così «seria» sembra cadere nel vuoto di fronte alla necessità leghista di sventolare la bandiera autonomista a due settimane dal voto per le regionali che interesserà la Lombardia e il Lazio.

L’autonomia per gli industriali è una questione da maneggiare con cura in un contesto che registra segnali di ripresa che non possono essere messi a repentaglio. «I dati ci dicono che il 2023 non sarà così fosco, anzi», ha detto Bonomi. «Stiamo andando meglio dei nostri competitor. Francia e Germania segnano il passo, noi conquistiamo quote di mercato». Per la seconda metà dell’anno le previsioni sono di «una forte discesa dell’inflazione e una ripresa robusta del commercio internazionale, sfioreremo 600 miliardi di export». Ma per una piena ripresa, ha avvertito, servono «due condizioni: che l’inflazione non torni a infiammarsi, e che il governo non sbagli gli interventi di politica industriale e non interrompa il flusso degli investimenti fondamentali nel medio lungo Paese. Condizioni fondamentali perché l’industria possa continuare a reggere il Paese», ha sostenuto. Parlando poi della sfida sulla competitività, soprattutto quella «a colpi di miliardi della Cina e degli Usa», ha lanciato l’idea di una discussione sull’opportunità di usare il Mes «come uno strumento di politica industriale europea».

In questo scenario non può venire meno la coesione nel Paese: «Non ce lo possiamo permettere – ha rimarcato il presidente di Confindustria – Questo Paese ha problemi urgenti da affrontare», dalla guerra in Ucraina all’energia, giusto per citarne qualcuno. Ha quindi posto la questione della ripartizione delle 23 materie individuare ormai 22 anni fa, da allora «il mondo si è trasformato» anche sotto la pressione di choc come la pandemia e la crisi energetica: «Lo scenario internazionale è cambiato e su alcune materie qualche riflessione va fatta per vedere se ha davvero ancora senso ridurre alcune materie a micro gestioni o tenerle a livello nazionale». Grassi è stato ancora più esplicito, sottolineando la necessità di escludere «quelle strategiche per l’economia nazionale, a partire dalle grandi reti, dalle fonti di energia e dalle infrastrutture, che hanno un impatto sull’intero sistema Paese e che devono essere ancorate alla strategia Europea».

C’è poi il tema dei divari che «ci portiamo avanti da 161 anni», dall’unità d’Italia, e su cui bisogna decidere se intervenire o meno, ha puntualizzato il leader degli industriali. Serve quindi una riflessione sulle risorse relativamente ai Lep perché «pensare di intervenire su questi divari e di recuperarli a invarianza di spesa non è onesto intellettualmente». Serve, ha quindi sostenuto, «una fortissima revisione e riallocazione della spesa pubblica in termini di saldi priorità e la nascita di un fondo strutturale di perequazione da alimentare fino a conseguimento di quei risultati da monitorare di anno in anno per verificare se effettivamente con le risorse in campo si stiano eliminando quei divari». Per questo, ha sottolineato, «prendo molto positivamente quanto detto da Calderoli, le sue promesse: che esisterà una clausola di salvaguardia dello Stato, che è fondamentale».

Calderoli ha ribadito la sua disponibilità a portare avanti un confronto con i rappresentati delle imprese, sottolineando come «dell’eliminazione di alcuni orpelli di burocrazia» cui porterebbe la l’autonomia «il primo ad avvantaggiarsene sia il mondo delle imprese». Quanto al possibile costo della riforma, e rispetto a ipotesi circolate, «sono estrazioni dei numeri al lotto», ha ironizzato. Per poi tornare a sottolineare che «aver messo come requisito il livello essenziale delle prestazioni e la definizione dei costi e fabbisogni standard sia un passo avanti che ci consente di non fare più riferimento alla spesa storica».

Dal canto suo il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha anticipato che porterà al tavolo della trattativa con il governo tutte le 23 materie, impegnando la Regione all’applicazione dei Lep una volta definiti. Intanto la tesi di un’autonomia «a costo zero», sostenuta dal governatore veneto non trova assolutamente d’accordo quello della Campania, Vincenzo De Luca: «Non si realizza a costo zero – ha rimarcato – O riduciamo i trasferimenti di spesa pubblica al nord e io sono contrario, oppure l’unica soluzione possibile è usare i fondi aggiuntivi per fare le operazioni di riequilibrio territoriale. I 200 miliardi di euro del Pnrr vanno usati per il riequilibrio territoriale. Bisogna usare i fondi aggiuntivi per il riequilibrio territoriale».


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