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«QUANDO vado a visitare un sospetto Covid, cosa che tra l’altro non dovrei fare, per indossare la tuta, la visiera e i calzari entro nei portoni e mi cambio sul pianerottolo. E un po’ mi vergogno».

Cristina Patrizi è una dei 4.500 medici di famiglia del Lazio. E si dà il caso che il Lazio sia la regione guidata da Nicola Zingaretti, segretario Pd. Perciò doppiamente coinvolto. Governatore e azionista di maggioranza dell’esecutivo Conte. Deve dividere il suo sguardo tra il Nazareno e la Pisana, cosa che senza l’occhio visionario di Paul Klee riuscirebbe complicata a chiunque figurarsi di questi tempi.

«Rispetto a sette mesi fa – riprende la dottoressa – non è cambiato nulla. Anzi, la situazione è peggiorata. Non ci davano i dispositivi di protezione e continuano a non darceli. Questo mese ho speso 370 euro di tasca mia. Siamo esposti a un rischio continuo. Nei nostri studi, dove in questi giorni è in corso la campagna di vaccinazione, capita spesso di entrare in contatto con i positivi e ogni volta bisogna sanificare. Poi, come se non bastasse, leggiamo dichiarazioni come quelle del commissario Arcuri, quando dice che i medici di base devono poter effettuare i test nelle case e curare il più possibile i malati, visto che ormai i protocolli sono standardizzati. Ma dico: scherziamo?».

Patrizi, responsabile area convenzionata del Sindacato medici italiani (Smi) ha elaborato uno studio per misurare con un grafico la pressione che si è riservata sui medici di medicina generale. Nell’arco di pochi giorni è scoppiato il finimondo.

LE REGIONI AGGIUNGONO UNA CONSONANTE E IL TRACCIAMENTO SCOMPARE

Si fa presto a dire «rafforziamo la medicina territoriale». Eppure, se c’era un punto su cui dopo la prima ondata tutti erano d’accordo era questo. Un parolone. «Non si è fatto un bel niente – riprende Patrizi – Il Dpcm dell’8 marzo scorso aveva previsto la creazione e il finanziamento delle Usca, le Unità di continuità assistenziali per assistere i pazienti a domicilio. Che fine hanno fatto?» È presto detto. Con le Regioni si è aggiunta una “r”, che sta per regionale. Sono diventate così “Uscar”. Vederle scomparire, poi, è stato un attimo. «Il personale messo a disposizione – spiega Pina Onotri, segretaria nazionale Smi – è stato dirottato ai drive in, all’esterno a fare i tamponi, oppure, più spesso, è stato dirottato in residenze sanitarie per anziani e disabili. Risultato: a casa dei pazienti non ci va più nessuno. Se non ci fossimo noi che li monitoriamo lavorando ormai a tempo pieno, anche 60/70 ore a settimana, nessuno muoverebbe un dito. Ma adesso la medicina generale è stata travolta e così non si può più andare avanti».

«TAMPONI NEI NOSTRI STUDI? SAREBBE IRRESPONSABILE»

Altre Regioni guardavano con interesse all’esempio del Lazio. Non più tardi di ieri l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, ha parlato di «accordi raggiunti sui tamponi negli studi dei medici». «Ma effettuare tamponi in studi di medici di famiglia sarebbe da irresponsabili – s’impunta Onotri – Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: profili di sicurezza rendono impraticabile questa strada».

Si scopre così che nel Lazio, a parte 300 medici che si sono detti disponibili, non è stato raggiunto alcun accordo. Ed ecco che la tanto decantata rete territoriale – semplicemente – non esiste. Solo nei giorni scorsi si è raggiunto in molte regioni italiane un accordo per consentire ai privati di effettuare test e tamponi. Le strutture, per essere accreditate, devono avere alcuni requisiti imprescindibili. Igiene, sicurezza, vie d’uscita, profili professionali. «I nostri studi sono nei condomìni: com’è pensabile che facendo i tamponi non si metta a rischio la salute degli altri inquilini?» si chiede Onotri.

«I NOSTRI DATI? NON SONO IN RETE LE SISP NON RISPONDONO»

Tutti i dati riguardanti l’attività dei medici di famiglia, tutta la mole dell’ attività, un patrimonio sicuramente gigantesco di informazioni, non sono in rete con la Regione Lazio, non sono in rete con le strutture ospedaliere, né con la specialistica ambulatoriale. Ognuno, in definitiva, lavora da solo. Situazioni epidemiologiche di rilevanza nazionale e regionale che vengono ignorate. Una pandemia per pochi intimi. E mentre nella regione Lombardia non si trova il vaccino e mancano all’appello milioni di dosi, dal primo ottobre al 19 ottobre nel Lazio 318.604 vaccinazioni sono state già effettuate e registrate, da parte di 3.344 medici di famiglia con una media di circa 100 vaccini. «Vogliamo che alcuni dati di attività siano chiari – puntualizza Patrizi – Dimostrano come i nostri telefoni non smettono mai di squillare, giorno e notte…».

Ci sarebbe inoltre il tracciamento, compreso quello attivato dalla app Immuni. È stato affidato alle Sisp, le strutture del dipartimento di prevenzione. Dietro segnalazione dei medici di base dovrebbero in teoria occuparsi delle persone che si trovano in sorveglianza sanitaria ed effettuare i tamponi a domicilio. Beato chi li ha visti.

MEDICI LASCIATI SOLI E SOTTO ASSEDIO

Da uno studio commissionato sempre da Smi Lazio emerge una realtà da urlo. Un assedio al quale è difficile sottrarsi. Sono stati raccolti, infatti, i dati di attività lavorativa nell’ultimo mese (dal 1° ottobre al 20 ottobre 2020), messi insieme dai gestionali informatizzati dei medici di medicina generale. Dati – si spiega in un comunicato – facilmente riscontrabili, che i medici inviano. Farmaceutica, richieste di indagine, diagnostica specialistica. Un esempio? La media settimanale di attività tarata sugli ultimi 20 giorni di ottobre 2020 e su un campione di 24 medici di medicina generale di Roma e del Lazio, per un bacino di popolazione di circa 30.000 persone, con una media di pazienti in carico pari a circa 1.200 assistiti per medico, per un carico di lavoro da 60 a 70 ore a settimana. In particolare: 337 telefonate settimanali (tra cellulari e telefono fisso); 28 telefonate al sabato, domenica e festivi, 194 wps -sms settimanali.

Numeri che si accompagnano ad altri numeri e insieme fanno riflettere: 38 Dpcm, 253 comunicati stampa del ministro della Sanità, 62 ordinanze regionali (solo nella Regione Lazio) più ordinanze varie della Protezione civile e del commissario per l’Emergenza. Un’ordinanza, del resto, non si nega a nessuno.


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