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C’è il long Covid con il suo corollario di conseguenze fisiche che può accompagnare per mesi anche chi ha combattuto e vinto la battaglia contro la malattia. E poi ci sono gli effetti sociali, lo stress, le ansie, la depressione portate in dote da oltre un anno di pandemia, fra paure e incertezze, destinate a durare molto di più. L’Oms non ha usato mezzi termini per descrivere gli anni che aspettano il mondo: macerie umane peggiori di quelle di un conflitto su scala globale.

«Dopo la seconda guerra mondiale – ha spiegato il direttore generale dell’organizzazione Onu, Tedros Adhanom Ghebreyesus -il mondo ha subito traumi di massa perché la guerra aveva ha colpito molte vite. Oggi, con la pandemia di Covid, sono state colpite ancora più vite».

Secondo i dati della stessa Oms, prima che il coronavirus sconvolgesse le nostre esistenze, in tutto il pianeta oltre 264 milioni di persone soffrivano di depressione e il suicidio occupava il secondo posto nella tetra classifica delle principali cause di morte. Ma con l’emergenza sanitaria i servizi a sostegno delle persone affette da questa patologia sono stati sospesi o interrotti nel 93% dei Paesi. E questo nonostante la contingenza della crisi abbia fatto lievitare la domanda. Una vera e propria epidemia nell’epidemia, per la quale – al momento – sembra non esistere vaccino. Questi effetti del Covid, ha detto Tedros, «dureranno per molti anni ancora, perché ogni individuo sulla superficie della Terra è stato, a suo modo, colpito».

Oltre alla depressione c’è il problema dell’emarginazione, dell’isolamento sociale, che già prima del 2020 cominciava a essere considerata una vera e propria emergenza di sanità pubblica. Il Covid l’ha aggravata ulteriormente, fra quarantene, smart working, rapporti interpersonali ridotti ai minimi termini. Alcuni Paesi si sono mossi per cercare di arginare il fenomeno. In Giappone il governo ha creato un ministero della Solitudine. In una realtà, quella nipponica, in cui il suicidio è un problema secolare, il numero di persone che hanno deciso di togliersi la vita ha conosciuto un ulteriore slancio nel 2020: 20.919 casi, 750 in più rispetto al 2019. A febbraio il ministro Yoshihide Suga ha chiesto un intervento forte, sottolineando come siano soprattutto le donne a trovarsi in una situazione di particolare fragilità.

Nella Gran Bretagna che oggi sembra liberarsi dall’incubo con la vaccinazione di massa, gli enti caritatevoli hanno a più riprese segnalato un incremento dei casi di solitudine fra gli anziani. Secondo una ricerca condotta da Plos one, nel Regno Unito il 36% delle persone intervistate ha riferito di essere sentita sola, a volte o spesso, durante l’emergenza.

«Gli individui che dal principio non avevano una forte rete di supporto sociale e possono finire per essere isolati a causa della malattia, si tratta di un gruppo vulnerabile», ha sottolineato ad Al Jazeera il dott. Joshua Klapow, psicologo clinico. «Vivono da soli e la loro famiglia non può visitarli – ha aggiunto – sono ad alto rischio perché non possono essere sostenuti né dalla famiglia, né dai loro amici, né da organizzazioni religiose. E quell’isolamento può portare alla solitudine». Quando quest’ultima prende il sopravvento, ha concluso, «proviamo sentimenti di disperazione, di impotenza che possono portare tipicamente alla depressione o all’uso di sostanze».

Anche per questo, dall’inizio della pandemia gli operatori sanitari hanno a più riprese evidenziato l’importanza di monitorare i tassi di depressione, stress e ansia delle persone più fragili o esposte, fra cui rientrano anche medici e infermieri. Secondo uno studio condotto dalla Columbia University Mailman School of Public Health, pubblicato a marzo, depressione e ansia registrano – a livello mondiale – tassi del 24% e del 21,3%. La stessa ricerca ha fatto notare che nel pre Covid la depressione era compresa in un range fra l’1,3 e il 3,4%, mentre l’ansia fra il 2,1 e il 4,1%. In Europa il tasso d’ansia era compreso fra il 3 e il 7,4%.

Un’analisi sulla popolazione cinese rivela che il 34,1% delle persone sottoposte a quarantena all’inizio del 2020 ha riferito di aver accusato almeno un sintomo di ordine psicologico. Negli Stati Uniti quattro adulti su dieci hanno detto di essere stati affetti da ansia o da disturbi depressivi durante la pandemia, quando nel 2019 a denunciare problemi di questo tipo era stato solo uno su dieci. In Gran Bretagna, a metà dello scorso anno, secondo un’indagine dell’Office for national statistics, una persona in età adulta su cinque si è detta affetta da una qualche forma di depressione, dato quasi raddoppiato in confronto al 2019, quando a lamentare disturbi del genere era un individuo su dieci. Fra i più esposti soprattutto i giovani. «Abbiamo dovuto aumentare i posti letto e per far spazio ai giovani e non ce lo aspettavamo – ha affermato ad Al Jazeera lo psichiatra Ayuso-Mateos riferendosi alla situazione in Spagna – abbiamo assistito a un aumento dei tentativi di suicidio all’interno della popolazione adolescente».


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