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Il presidente Fontana mentre indossa la mascherina

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Ci sono molti modi possibili di maneggiare la irrisolta questione del rapporto tra Stato e regioni in tempo di pandemia (e non solo). Uno dei più abusati, ancorché obbligati, è quello di richiamare ciascuno alle proprie responsabilità, ognuno per la parte che compete nel rispetto delle norme costituzionali. Un altro è reclamare l’obbligo di leale collaborazione, pure questo di sapore costituzionale, tra centro e periferia. Un altro ancora sgolarsi sul fatto che senza la cooperazione dell’uno e delle altre, ogni obiettivo risulta precluso.

Ce ne sarebbe anche un altro, non si sa quanto volutamente disatteso. Ed è quello di investire partiti e movimenti dell’opportunità di reclamare per i loro rappresentanti amministrativi il rispetto delle regole che tutti riguardano e coinvolgono. Una dimensione troppo spesso oscurata e che lascia sbigottiti soprattutto in tempi di elezioni appunto amministrative. Se sono le forze politiche a scegliere e candidare i loro rappresentanti nei municipi e nelle Regioni perché – fatta salva l’indipendenza degli eletti che però non può, appena chiuse le urne, trasformarsi in potere assoluto senza più riferimenti politici – le medesime forze politiche non possono richiamare sindaci, amministratori, presidenti di regione (lasciamo stare l’appellativo governatore) al rispetto di valori e comportamenti fissati prima del voto?

La risposta è nota. Gli amministratori quasi sempre non sentono vincoli di appartenenza né legami di rapporto con i partiti di provenienza. Preferiscono un rapporto diretto con i cittadini: rende di più, soprattutto mediaticamente. Così facendo diventano caciccati e trasformano in inquietante separatezza e colpevole solipsismo, la giusta, legittima e riconosciuta autonomia.

Ciò non toglie che il problema esiste e non può essere sottovalutato o, peggio, negato. Facciamo alcuni esempi. La pandemia ha sgretolato il mito dell’eccellenza del sistema sanitario lombardo. Il che non significa che non ci siano medici, scienziati ed istituti che sono e rimangono il meglio del settore. Il punto è che il sistema di assistenza e cura nei momenti di emergenza ha mostrato falle enormi, perfino nella gestione delle prenotazioni vaccinali. Ma chi guida la regione? Non è forse Attilio Fontana esponente di spicco della Lega, cioè del primo partito italiano? Ovvio che non tutte le responsabilità sono in capo a lui, ma chi potrebbe escludere ricadute politiche negative sul Caroccio di quanto accaduto negli scorsi mesi e settimane? È evidente che esiste un preciso interesse politico di Salvini e della Lega perché dalla battaglia contro il Covid la Lombardia a guida leghista esca vincitrice. Altrettanto ovvio che se ciò non dovesse accadere, le ricadute sarebbero di segno opposto.

Non diversamente le cose funzionano a sinistra. Il virus ha mandato in frantumi uno dei modelli amministrativi più elogiati in passato, quello della Toscana. Regione in grave ritardo nelle vaccinazioni e confinata agli ultimi posti di questa non invidiabile classifica. Su chi ricade la responsabilità politica, oltre che gestionale, di un così magro risultato? Difficile immaginare che la sinistra e segnatamente il Pd risultino esenti.

Per non parlare dell’ultimissimo caso del presidente della Campania, Vincenzo De Luca, anche lui eletto in quota Pd. Il quale si muove in assoluta autosufficienza – ma forse meglio sarebbe dire distacco – dal Nazareno e ormai in aperta sfida allo Stato centrale e alle disposizioni emanate dal governo Draghi. Alcune ragioni possono essere dalla sua parte e non sarebbe giusto disconoscerlo. Tuttavia la risposta ribellistica di De Luca, manifestata con linguaggio e annunci che somigliano ad una sorta di ammutinamento, non possono lasciare indifferente il Pd e il suo nuovo segretario.

È valutazione comune che i partiti hanno perso credibilità e nella scala valoriate di fiducia dei cittadini occupano gli ultimi posti. Per chi crede nel meccanismo democratico e sa che senza partiti l’edificio istituzionale pencola pericolosamente col rischio di schiantarsi al suolo, quest’andazzo è fonte di frustrazione e preoccupazione.

Servono iniziative concrete e atti formali che consentano di capovolgere la tendenza. Quello di richiamare al rispetto delle regole personaggi che si sono candidati e sono stati eletti sotto il simbolo del proprio partito, potrebbe essere uno di questi. Non per ripristinare una specie di cinghia di trasmissione di cui non si avverte alcuna necessità o nostalgia. Più semplicemente per allineare valori e azioni all’interno della stessa comunità nella quale si convive, sotto il tetto di rappresentanza che si condivide.
Non solo il governo, non solo i ministri, non solo i rappresentanti istituzionali al centro hanno il dovere di combattere la guerra al Covid in sintonia, con il medesimo impegno, nella medesima direzione.

Anche le forze politiche possono – e più giusto è dire che debbono – svolgere un ruolo decisivo richiamando i loro rappresentanti locali e, per dopo l’autunno indicando candidati adeguati, al rispetto di indirizzi e atteggiamenti che esaltino i legami di coesione sociale. Invece di lavorare per strapparli immaginando chissà quale personale tornaconto.


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