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Il segretario del Pd Enrico Letta

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“Non fatevi rubare il voto”. Con questo titolo il nostro giornale ha chiesto alla comunità meridionale di non cedere alle lusinghe effimere dell’assistenzialismo. Sarebbe il modo migliore per offrire un alibi alle componenti nordiste di entrambi gli schieramenti politici per tornare a ripetere “non buttiamo i soldi al sud”. E ancora di più ci sarebbe il rischio reale che il sussidio che si vuole difendere sia il primo a saltare. Enrico Letta teme che si possa produrre uno scenario di questo tipo?

«Andiamo con ordine. Qualche giorno fa in Puglia, a Taranto, il Pd ha presentato il suo Manifesto per il Sud. C’è scritto a chiare lettere: basta assistenzialismo e basta ribellismo senza costrutto. Però questo non significa che le politiche per il Mezzogiorno non vadano letteralmente capovolte. Io credo che il primo passo sia guarire dalla sindrome dello struzzo. Vale a dire dalla tendenza delle classi dirigenti nazionali a mettere la testa sotto la sabbia. Se non si riprende il Sud non si rialza il Paese. Punto. L’idea che la locomotiva del nord basti da sola a trainare tutto il convoglio è naufragata da anni e anni. Chi la continua a propinare finge di non capire che a rischio ci sono l’equilibrio complessivo del Paese e con esso la tenuta sociale. Servono politiche coraggiose e selettive. Quanto al reddito di cittadinanza, ha salvato dalla povertà milioni di persone e di famiglie. Una misura come questa c’è in tutti i principali grandi paesi europei. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi vogliono cancellarlo, fanno la caccia al povero, arroganti coi deboli, deboli coi forti. Noi vogliamo riformarlo. Contro l’assistenzialismo fine a se stesso bisogna far funzionare le politiche attive del lavoro, perché chi può lavorare sia accompagnato nella ricerca di un impiego, in modo efficiente ed efficace, anche attraverso la formazione. Il lavoro è dignità. Per questo oltre al Reddito di cittadinanza, vogliamo puntare sulla creazione di buona occupazione, soprattutto per i giovani e per le donne e soprattutto nel Mezzogiorno. A questo servono le due clausole che abbiamo ottenuto al Pnrr: quella del 40% di risorse al Sud e quella del 30% dell’occupazione femminile e giovanile. Ma con la destra tutto questo è a rischio, rinegoziare il Pnrr significa perdere i fondi».

Non crede che il vero disegno di rilancio del Mezzogiorno poggi sull’attuazione del Pnrr che pone nel sud le donne e i giovani al centro dell’azione del paese?

«Certo che è così. Il Pnrr è il più grande investimento sul nostro Paese dopo il Piano Marshall, è un’occasione che non possiamo permetterci di sprecare. Come Pd abbiamo inciso a livello governativo e parlamentare per improntarlo a criteri di coesione territoriale. Quando Salvini annuncia di voler togliere risorse al sud per aumentare la quota destinata al nord non comprende di star contravvenendo alle condizioni dettate dall’Europa per il riconoscimento di questi fondi. O forse lo comprende ma, perso nel suo tentativo di ritorno al leghismo duro e puro dopo il fallimento conclamato del progetto della Lega nazionale, mente».

Quanto valgono il nuovo quadro geopolitico e la cosiddetta “globalizzazione corta” per il rilancio produttivo del Mezzogiorno?

«Quando parliamo di Mezzogiorno non possiamo non pensare al Mediterraneo, il suo rilancio produttivo non può prescindere da una più ampia visione geopolitica che guardi a sud del nostro sud. In tal senso, il porto di Gioia Tauro con la sua ZES rappresentano quella condizione in più che permetterebbe a tutto il meridione di sviluppare un processo di sviluppo economico tale da renderlo non solo punto di approdo delle merci, ma anche di partenza. Ovviamente, ciò può avvenire solo con un investimento a favore dell’innovazione dei trasporti su gomma e su ferro e con una ferrata lotta alla criminalità organizzata, sia in termini di repressione che di crescita culturale che rigetta la mentalità della sopraffazione e della connivenza, a tutti i livelli».

Per questo giornale il punto di partenza di un vero piano di rinascita del Mezzogiorno è un massiccio investimento sul capitale umano. Nel Pnrr dagli asili all’edilizia scolastica fino alla ricerca universitaria si è dato priorità a questo tipo di investimenti. Che cosa si deve fare perché gli investimenti vengano portati a compimento? Non crede che a livello centrale bisogna porsi il problema di affiancare le amministrazioni locali con uomini in grado di risolvere i problemi?

«Questo è il tema centrale. Non a caso, come le dicevo, a Taranto abbiamo parlato di 300.000 assunzioni nella pubblica amministrazione entro il 2024. Secondo i fabbisogni e attraverso selezioni rigorosissime e criteri di efficienza e merito. I nostri sindaci ci ripetono ogni giorno quanto sia alto il rischio di vanificare l’utilità del PNRR senza personale adeguato che possa seguire tecnicamente i progetti di crescita e sviluppo, abbiamo un meridione in difficoltà dal punto di vista dell’occupazione e conseguentemente della crescita economica e sociale, un piano di rigenerazione della pubblica amministrazione unirebbe la fortissima domanda di lavoro da parte dei tanti giovani professionisti e la richiesta di personale da parte delle amministrazioni territoriali. Investire sul capitale umano, sulle donne e sui giovani meridionali, dar loro l’opportunità di rimanere a casa propria, permetterebbe alle regioni del sud di poter riprendere il passo senza dover attendere un messia, ma con la forza della propria intelligenza».

La nuova governance del Pnrr voluta da Mario Draghi permette di superare molti vincoli amministrativi. Ma se mancano le capacità tecniche e attuative il processo si ferma. Può prendere l’impegno pubblico di mettere al primo posto l’impegno per la formazione nel Mezzogiorno?

«È un impegno che abbiamo già assunto con il programma del Pd. Per noi la cultura, l’istruzione, la formazione e le infrastrutture sociali sono fondamentali per rilanciare il Mezzogiorno. La transizione digitale è fondamentale e non può che camminare sulle gambe delle ragazze e dei ragazzi neolaureati. Le amministrazioni locali vanno aiutate, così come le autonomie regionali: laddove non arrivano loro nell’attuazione dei progetti, deve subentrare le Stato. Non possiamo rischiare che i soldi vengano sottratti ai territori».

Si sente di escludere al 100% che dopo il voto PD, Terzo Polo e Movimento 5 Stelle possano formare un’alleanza insieme?

«Non passa giorno senza che Renzi e Calenda non ripropongano il ritorno al governo di Draghi dopo le elezioni del 25 settembre. È un refrain assurdo, sembra di vivere in una realtà parallela. Sembrano Totò e Peppino che cercano di vendere la Fontana di Trevi, tra l’altro dovrebbero avere più rispetto per l’attuale Presidente del Consiglio. Quel governo è stato d’emergenza nazionale, il Pd non sosterrà più le larghe intese. Aggiungo che Conte, Renzi e Calenda hanno fatto tutto da soli per evitare il campo largo che avevo proposto e ora ognuno non può che assumersi le proprie responsabilità. Con il Rosatellum la verità è che ogni voto dato al Terzo Polo o al M5s è dato alla destra. Solo votando il Pd si può sconfiggere Giorgia Meloni e la sua visione retriva dell’Italia».

È possibile ricucire con Giuseppe Conte dopo tutto quello che ha detto in campagna elettorale contro il Partito Democratico?

«M5s e Pd governano insieme in molte realtà regionali e territoriali e lo fanno bene. Conte ha dimostrato di essere un trasformista e come ho detto ognuno alla fine si assume le proprie responsabilità di fronte agli elettori».

La prossima settimana Mario Draghi sarà a New York: pensa ci saranno ripercussioni sul fronte delle alleanze internazionali se Giorgia Meloni dovesse diventare Presidente del Consiglio?

«Giorgia Meloni non vincerà, ma se dovesse accadere è certo che con lei l’Italia cambierebbe profilo internazionale. Ne è prova il comportamento di giovedì di Fdi e della Lega, che al Parlamento europeo hanno votato contro il rapporto sull’Ungheria, perché sottolineava come con Orban non sia più una democrazia compiuta. Senza contate che Fdi non ha mai votato il Pnrr. A parole Giorgia Meloni può definirsi come vuole: europeista, femminista, patriottica. Ma poi contano i fatti e i fatti dicono che un’Italia più vicina all’Ungheria e alla Polonia che alla Francia e alla Germania sarebbe isolata, più piccola e insicura. Altro che patriottismo».

È fiducioso sul fatto che l’Europa possa riuscire a mettere il “price cap” sul gas?

«Sì, lo sono. Certo, dovremmo accorciare i tempi delle decisioni dell’Unione europea e per farlo bisognerà rimettere mano ai Trattati. Ma si arriverà a un accordo. Nel frattempo, vogliamo 12 mesi di prezzi dell’energia calmierati, il raddoppio del credito di imposta per le imprese, la bolletta luce sociale per le famiglie a basso reddito e il disaccoppiamento delle energie rinnovabili dal gas».

Che ne pensa della diffusione da parte della Casa Bianca di informazioni sui fondi spesi dalla Russia di Putin per influenzare le nazioni democratiche? Teme che siano coinvolti anche partiti e politici italiani? Il capo dello stato secondo lei dovrà tener conto di tutto ciò in vista della formazione del nuovo governo?

«Noi abbiamo chiesto che si faccia chiarezza e che si faccia il prima possibile. Gli elettori devono poter votare sapendo la verità. Non possiamo basarci su indizi, servono le prove. Detto questo, i rapporti di Salvini con la Russia sono precedenti e abbiamo sempre chiesto che li interrompesse. Perché non straccia il patto politico con Russia Unita? Non ha mai risposto a questa domanda. Se lo intervista chissa se risponde a lei».

A questo punto, stante i rapporti di eccessiva vicinanza con la Russia, non pensa che per taluni personaggi politici sarebbe inopportuno ricoprire ruoli ministeriali di rilievo? Penso ad esempio ad un dicastero estremamente delicato come quello del Viminale.

«È proprio questo il punto. Ripeto: per noi contano le prove, non i sospetti. Ma anche l’eccessiva vicinanza a paesi stranieri non democratici che tentano di fare ingerenza sulle democrazie occidentali è inopportuna per chi si candida a ricoprire ruoli di governo».

Un’ultima domanda sul partito: qualcuno già vede Bonaccini alle porte…

«Bonaccini è un amico, un dirigente di primo piano del nostro partito e un ottimo governatore, sta facendo come me con impegno questa campagna elettorale. Il nostro orizzonte è il 25 settembre, il Pd è compatto e impegnato a vincere le elezioni». 


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