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Distanti tra i banchi, ma troppo vicini sui bus. È la fotografia della quotidianità, ma che potrebbe anche essere l’inizio di una svolta per il trasporto locale che ha visto l’Europa spingere sul pedale dell’acceleratore e l’Italia restare ancora ferma al palo. Il governo è al lavoro per alleggerire il trasporto pubblico locale con un «sistema più flessibile per gli orari delle scuole superiori e un’ulteriore spinta alla flessibilità degli orari per il lavoro e l’implementazione dello smart working». Un governo che presenta diversità di vedute in merito. Se per la titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, «il rischio di contagio nel sistema del trasporto pubblico locale è bassissimo, i mezzi pubblici anche nei periodi di punta generalmente non superano la capienza tra il 70-75%». Di diverso avviso è Walter Ricciardi, membro italiano nel board dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e consulente del ministro della Salute, Roberto Speranza. «Se la ministra De Micheli parla dell’alta velocità ha ragione, se si riferisce al trasporto pubblico locale no» ha precisato.

Ma le colpe sono esclusivamente di questo governo? È chiaro che questo esecutivo sia oggi ostaggio delle Regioni su trasporti, sanità e scuola, ignorando una propria autonomia. Il titolo V della Costituzione che fine ha fatto?

I capetti delle Regioni, guidati dal governatore dell’Emilia- Romagna, Stefano Bonaccini, pretendono ancora di dare ordini al governo: il trasporto pubblico deve viaggiare all’80%. Bus pieni come un uovo per guadagnarci e per farci viaggiare, in maniera più spedita, anche il virus. Come affrontare la problematica? Allo stato attuale in Italia i mezzi pubblici, stando ad un recente report del Ministero dei Trasporti, viaggiano al 55% della capienza. Ma le criticità si riscontrano nelle ore di punta di scuole e uffici. Potenziare il trasporto pubblico e scaglionare ingressi e uscite è una delle soluzioni, ma si può fare di più e meglio.

È sul primo punto che si gioca la vera partita e la palla passa nelle mani di Regioni e Comuni, altro che al governo. Per incrementare il parco mezzi si potrebbe ricorrere all’utilizzo dei servizi di trasporto non di linea, adesso fermi in rimessa, come migliaia di autisti rinchiusi nelle loro case. Attualmente in Italia sono stati già messi in strada a supporto dei servizi di trasporto pubblico e di trasporto scolastico circa 1.800 autobus delle imprese di trasporto turistico, che hanno consentito di potenziare oltre 4mila tratte a elevata frequentazione. Come mai in sette mesi gran parte di Regioni e Comuni non sono riusciti e non hanno voluto stipulare un accordo con terzi a sostegno del tpl? Mesi di errori e sottovalutazioni che colgono impreparate le Regioni che non fanno altro che scaricare le responsabilità sul governo per nascondere le proprie incapacità. «Il ministero dei Trasporti ha già stanziato circa 300 milioni di euro per questo scopo, ma la responsabilità di mettere in pratica certi provvedimenti è di Comuni e Regioni, che magari decidono di usare i soldi ricevuti per colmare dei buchi nel bilancio e non li destinano a nuovi mezzi» denuncia Carmelo Minniti, segretario di Uil Trasporti Lombardia.

Dal loro canto, le associazioni sindacali delle aziende pubbliche e private si sono proposte di procedere con il subappalto. Regioni e Comuni, che nella maggior parte dei casi sono proprietarie delle aziende, non hanno però ritenuto questa alternativa necessaria perché contavano sulla riduzione della richiesta di servizio di trasporto pubblico indotta dall’emergenza sanitaria. Ma c’è chi è riuscita ad intervenire, seppur in ritardo. E’ il caso della Sardegna dove la Regione ha deciso di ricorrere a terzi per garantire l’efficienza dei trasporti pubblici.

Una delibera di Giunta ha autorizzato l’affidamento ad aziende pubbliche e private di una quota di servizi del trasporto pubblico su gomma pari al 20% della percorrenza annuale complessiva, del 30% nelle aree a domanda debole di servizi di trasporto. E’ corsa ai ripari anche a Napoli. Su sollecitazione del Comune, l’Anm (la società in house controllata dalla municipalizzata Napoli Holding e concessionaria del servizio di trasporto pubblico locale nella città di Napoli e nella circostante città metropolitana) ha attivato un bando aperto a Ncc e operatori turistici per l’attivazione di sette nuove linee e per trasportare almeno 15.000 persone in più al giorno. La Regione trasferirà le risorse necessarie destinate dal Ministero dei Trasporti. Con il bando si prevede di assegnare servizi per effettuare 3.000 km e 250 corse in più al giorno a disposizione dei cittadini.

Il provvedimento è stato possibile grazie al fatto che l’azienda di trasporto pubblico locale del capoluogo campano ha varato il Piano dei servizi integrativi 2020/2021 per il trasporto pubblico locale instaurando un rapporto con gli operatori Ncc e dei bus turistici costruito a settembre con l’obiettivo di incrementare l’offerta di trasporto pubblico con particolare riguardo alla mobilità delle fasce di punta e all’utenza scolastica. Il Piano potenzierà l’offerta di servizio a supporto della Metro-Linea 1 mediante l’attivazione di linee dedicate e i collegamenti su gomma ad elevata domanda. L’obiettivo è di avviare i collegamenti sin dai primi giorni di novembre. Le risorse finanziarie riconosciute al Comune dalla Regione prevedono un primo impegno trimestrale per 3.000 km al giorno in più, pari a circa il 12% della produzione giornaliera urbana ordinaria di Anm. Le fasi di emergenza richiedono, nel caso del sistema dei trasporti pubblici, flessibilità ed innovazione che finora, ad eccezioni di pochi casi, non si è rilevato sul territorio nazionale. Il sistema è ancorato su vecchi e superati modelli di gestione e governance. Occorre un cambiamento radicale. La svolta deve partire da Regioni e Comuni.


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