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Migranti ambientali costretti a spostarsi a causa del cambiamenti climatico (foto tratta da green.it)

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Parliamo spesso di migrazioni pensando solo a quello che osserviamo: meglio, facendo riferimento solo a ciò che la comunicazione ci permette di conoscere. In questa prospettiva, parziale, diventa quindi centrale nei nostri discorsi ogni aspetto micro che alteri, a qualsiasi livello, il tradizionale scorrere del nostro tempo in Occidente. In realtà, prestiamo poca attenzione a tre aspetti, che non andrebbero mai sottovalutati: da un lato, l’atavica predisposizione dell’umanità agli spostamenti, alle migrazioni di massa, senza le quali noi stessi, a Occidente, non esisteremmo.

Dall’altra, il discorso sulle migrazioni non è assolutamente disgiunto da quello – inviso a parte della popolazione, chissà perché – dei cambiamenti climatici che da tempo riguardano il nostro pianeta: e, strettamente connesso ai cambiamenti climatici, il terzo aspetto, quello che ha a che fare con il cibo. Anche in questo caso, come purtroppo accade sempre più spesso, si tende a non far tesoro della storia, a non considerare che la Terra, da quando esiste, è sempre stata oggetto di mutamenti climatici anche devastanti, che hanno cancellato per millenni qualsiasi forma di vita fosse prosperata in quelle epoche.

I cambiamenti climatici sono importanti, nella prospettiva delle grandi migrazioni di massa, anche e soprattutto perché rendono spesso inospitali vaste aree del mondo, desertificandole, e impedendo così alle popolazioni che vivono lì di poter trarre nutrimento necessario per vivere. La terra produce beni alimentari essenziali per noi umani: se non cresce più nulla, e magari anche l’acqua diventa merce rara, è naturale che la gente sia costretta a muoversi per cercare un’altra terra dove poter vivere un’esistenza dignitosa. È già successo, e succederà ancora.

Le migrazioni causate dalla desertificazione nel mondo sono un fenomeno complesso e variano in termini di scala e impatto a seconda delle regioni colpite. La desertificazione è il processo attraverso il quale le terre precedentemente fertili diventano desertiche o subiscono una grave degradazione del suolo, spesso a causa di fattori come la deforestazione, il sovrasfruttamento delle risorse naturali, i cambiamenti climatici e le pratiche agricole non sostenibili. Questo processo può appunto spingere le persone a lasciare le loro terre d’origine in cerca di opportunità migliori altrove.

È già successo, si diceva. Per esempio, in Africa: numerose regioni dell’Africa hanno affrontato problemi di desertificazione, come il Sahel, il Corno d’Africa e il Kalahari. Il Sahel è una vasta regione semi-arida che attraversa l’Africa occidentale e centrale, inclusi paesi come il Senegal, il Mali, il Niger, il Ciad, il Sudan, il Sudan del Sud e l’Etiopia settentrionale. La desertificazione, insieme ai cambiamenti climatici, ha avuto un impatto significativo in questa regione, spingendo molte persone a migrare in cerca di terre più fertili e risorse idriche.

Le migrazioni spesso coinvolgono spostamenti interni tra le comunità rurali colpite e possono anche riguardare spostamenti verso le città. Anche il Corno d’Africa, che include paesi come la Somalia, l’Etiopia, il Kenya e il Sudan, ha affrontato problemi di desertificazione e degrado del suolo. Questi problemi hanno spinto molte persone a cercare rifugio in altri paesi o regioni, in particolare in risposta a eventi di siccità prolungata. Ma fenomeni di desertificazione si sono verificati in moltissime altre parti del mondo. La Cina ha sperimentato la desertificazione in alcune delle sue regioni settentrionali, come la Mongolia Interna.

La migrazione da queste aree colpite dalla desertificazione verso le città è stata una risposta comune a questo problema. Anche in alcune parti del Medio Oriente, come l’Iraq e la Siria, la desertificazione è stata un fattore che ha contribuito alla migrazione forzata di popolazioni rurali verso le città o verso altri paesi. Le migrazioni hanno riguardato anche alcune regioni dell’America Latina, come il Messico e il Brasile, dove pure la desertificazione ha avuto un impatto sulla migrazione.

Le persone spesso lasciano le aree rurali colpite per cercare lavoro nelle città. E la desertificazione ha colpito anche alcune parti del continente australiano, costringendo le comunità a spostarsi verso aree più fertili e urbanizzate. Se facciamo riferimento al tipo di migrazioni a noi più vicino, quello del continente africano dal quale ci separa il Mediterraneo, appare chiaro che queste migrazioni sono spesso complesse e influenzate da una serie di fattori, tra cui oltre le condizioni climatiche, entrano in gioco la povertà, i conflitti locali e nazionali e le pressioni demografiche.

È importante notare che molte di queste migrazioni sono spesso forzate e possono contribuire a tensioni sociali ed economiche sia all’interno dei paesi che tra i paesi limitrofi. Ed è evidente che, alla base, vi sia sempre un problema di disuguaglianze. Prendiamo per esempio la grande migrazione del Sahel. La desertificazione nel Sahel e le relative migrazioni hanno radici che risalgono a diversi decenni e persino secoli, ma la situazione è peggiorata notevolmente nel corso del XX secolo e oltre. Questa regione ha affrontato problemi legati alla desertificazione per lungo tempo, ma molti fattori hanno contribuito all’aggravarsi della situazione nel corso degli ultimi decenni.

Alcuni dei fattori chiave includono certamente il clima, visto che la zona è stata influenzato da vari cambiamenti climatici, tra cui cicli di siccità e piogge irregolari. Questi cambiamenti hanno colpito le comunità agricole e pastorali, spingendo molte persone a cercare terre più fertili, ma anche il sovrasfruttamento del suolo, la deforestazione e le pratiche agricole non sostenibili hanno contribuito al degrado del suolo in molte parti del Sahel, rendendo sempre più difficile l’agricoltura e la pastorizia. Ancora, ulteriore pressione sulle risorse naturali della zona è giunta da una crescita demografica incontrollata, che ha contribuito a un esaurimento delle risorse disponibili e a conflitti legati alla terra.

L’alto tasso di povertà ha quindi reso molte comunità del Sahel vulnerabili alla desertificazione e ai cambiamenti climatici, spingendo le persone a cercare opportunità migliori altrove; magari anche solo per evitare i conflitti armati, alimentati proprio da tensioni legate alla terra e alle risorse. Bisogna peraltro considerare che molto più antica è la desertificazione del Sahara, che pure ha di fatto contribuito a far crescere proprio le popolazioni dell’area del Sahel.

La desertificazione nel Sahara è un processo che si è sviluppato su una scala temporale molto più lunga rispetto a molte altre regioni del mondo, e le sue origini risalgono a migliaia di anni fa. Il Sahara, un vasto deserto situato nel nord dell’Africa, è stato gradualmente soggetto a cambiamenti climatici e trasformazioni geologiche che hanno contribuito alla sua progressiva desertificazione.

In passato, il Sahara era una regione più fertile e ospitava popolazioni nomadi e agricole. Tuttavia, a partire da circa 5.000 anni fa, la regione ha iniziato a sperimentare un progressivo inaridimento dovuto a vari fattori, tra cui le variazioni climatiche naturali. Questo cambiamento ha portato alla migrazione e all’abbandono di alcune aree del Sahara da parte delle popolazioni che vi abitavano.

Le popolazioni coinvolte nelle migrazioni causate dalla desertificazione del Sahara includono i Berberi, un gruppo etnico indigeno del Nord Africa, nonché altre popolazioni nomadi e agricole che in passato vivevano nelle regioni del Sahara ora desertificate. Queste migrazioni hanno portato le popolazioni a cercare terre più fertili e condizioni di vita migliori verso il sud, in regioni come il Sahel e il Corno d’Africa, quest’ultimo a sua volta poi colpito, come detto, da desertificazione a sua volta. Anche la desertificazione e le migrazioni nel Corno d’Africa sono fenomeni che si sono sviluppati nel corso di molti anni e sono influenzati da una serie di fattori complessi.

Il Corno d’Africa comprende paesi come la Somalia, l’Etiopia, il Kenya, il Sudan e l’Eritrea, ed è stato afflitto da siccità ricorrenti, cambiamenti climatici e degrado del suolo. Ecco, quindi, che un concetto che in Occidente viene spesso utilizzato solo parzialmente, quello della sicurezza alimentare, diviene centrale proprio nell’analisi dei grandi flussi migratori che hanno interessato, da sempre, la storia dell’umanità.

Perché se è vero che oggi, in Occidente, si parla di sicurezza alimentare esaltandone soprattutto alcune caratteristiche igieniche e organolettiche, in realtà si tratta di un concetto globale e multidimensionale, che va ben oltre la qualità del cibo. In molte parti del mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo, la sicurezza alimentare è una questione molto più urgente e critica, spesso legata alla disponibilità e all’accessibilità del cibo stesso, oltre che alla sua qualità.

La fame, la malnutrizione e le carestie sono problemi che colpiscono molte regioni del mondo e rappresentano aspetti fondamentali della sicurezza alimentare globale. In Occidente, la sicurezza alimentare è spesso associata principalmente alla sicurezza e alla qualità del cibo: la disponibilità di cibo sicuro, privo di contaminanti dannosi o di patogeni, è una preoccupazione fondamentale nella società occidentale, dove ci sono normative e sistemi di regolamentazione rigorosi per garantirne la sicurezza.

La sicurezza alimentare in Occidente include anche la preoccupazione per la qualità nutrizionale del cibo e l’etichettatura accurata, in modo che i consumatori possano fare scelte informate sulla loro alimentazione; le preoccupazioni legate agli allergeni, agli OGM (organismi geneticamente modificati) e ad altri aspetti della qualità del cibo sono temi importanti nella discussione sulla sicurezza alimentare in Occidente.

Un approccio maggiormente lungimirante e complesso (oltre che completo) al tema non può quindi prescindere da altri aspetti, oltre a quelli che in Occidente abbiamo interiorizzato. Perché se è vero che per una parte del mondo parlare di sicurezza alimentare equivale a riferirsi a una situazione in cui tutte le persone hanno accesso fisico, economico e sociale a cibo sufficiente, sicuro e nutriente che soddisfi le loro esigenze alimentari e preferenze culturali per condurre una vita sana e attiva, in realtà si tratta di un concetto multidimensionale che incorpora diversi elementi chiave: la disponibilità di cibo per soddisfare le esigenze alimentari delle persone in una determinata regione o comunità.

Questo include la produzione di cibo a livello nazionale o locale, la disponibilità di cibo nei mercati e la capacità di accesso da parte delle persone. Ancora, l’accesso al cibo, che si riferisce alla capacità delle persone di ottenere cibo, che comprende la loro capacità di acquistarlo o produrlo, nonché la presenza di infrastrutture di trasporto e distribuzione del cibo. Quindi l’utilizzo del cibo stesso, ovvero la capacità delle persone di utilizzare il cibo in modo appropriato e sicuro per soddisfare le loro esigenze nutritive.

Questo include la conoscenza delle pratiche alimentari sane, l’igiene alimentare e l’accesso all’acqua pulita. E dulcis in fundo la stabilità dell’accesso al cibo, che si riferisce alla capacità di mantenere l’accesso costante al cibo nel tempo, senza variazioni significative dovute a eventi come carestie, cambiamenti dei prezzi alimentari o conflitti. Ecco perché parlare di sicurezza alimentare guardando solo all’interno del proprio orto non porta molto lontano. Così come non tener conto del fatto che in un sistema complesso di viventi qual è tutta la terra, ogni variazione in qualsiasi parte e a qualsiasi livello riguarda tutti, coinvolge tutti, si ripercuote su tutti. Che ci piaccia o no, è un problema di ciascuno di noi.

Il tema torna allora ad essere quello della eliminazione delle disuguaglianze, a qualsiasi livello. Far finta che esistano muri e confini che ci proteggono da quanto accade “là fuori” non ha senso alcuno. Sarebbe importante comprenderlo al più presto.


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