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Maltrattate da una lunga tradizione culturale che risale alla Grecia antica (si pensi alla velenosa polemica anti-socratica di Aristofane), considerate con sospetto a causa della loro permanente mutevolezza che le rende polimorfiche, inafferrabili e sfuggenti, le nuvole rinviano solitamente a un modo di essere distratto, stralunato, avulso dalla realtà quotidiana.

“Avere la testa tra le nuvole” o “cadere dalle nuvole” indicano disdicevoli comportamenti di distacco dalla base mondana della vita e “acchiappanuvole” è un epiteto, vicino all’ingiuria, che contrassegna persone dotate di un temperamento sognante, portate a speculazioni idealistiche o prigioniere di tenaci illusioni.

Queste sono le caratteristiche, racconta Swift nei Viaggi di Gulliver, degli abitanti di Laputa, l’isola volante tra le nubi, talmente immersi nelle loro astruse speculazioni «da non essere in grado né di parlare, né di seguire le parole altrui» e, per di più, goffi, inetti, impacciati «nelle comuni azioni di tutti i giorni».

C’è di peggio. Le nuvole di polvere sono spesso il segno dei disastri naturali o di quelli prodotti dagli uomini e le nuvole di fumo o di gas rimandano anche alle catastrofi tossiche di Chernobyl, Seveso o Bhopal. E tuttavia, accanto a questa scia di discredito che le nuvole si trascinano dietro, esiste anche una diversa tradizione, documentata pure nell’Antico Testamento, che le pone come luogo di presenza e di rivelazione del divino. Nel libro dell’Esodo, per esempio, Dio si annuncia in una “densa nube” e nella conclusione dell’episodio del Decalogo si vede Mosè che avanza «[…] verso la nube oscura, nella quale era Dio».

Successivamente, Mosè sale sul monte, la nube copre il monte per sei giorni e al settimo il Signore lo chiama dalla nube. E ancora, quando Mosè entrava nella tenda del convegno di Jahvè con il popolo, «scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda. Allora il Signore parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda».

La “nube oscura” è, peraltro, lo spazio in cui la rivelazione si compie ed è possibile cogliere Dio secondo uno dei classici della mistica medievale, non a caso intitolato La nube della non conoscenza.

Insomma, le nuvole aprono anche alla speranza per l’uomo di elevarsi al di sopra dei limiti della condizione terrena, che, comunque, di esse ha sempre bisogno, perché sono foriere e portatrici di pioggia, di fertilità per la terra, in altre parole di vita.


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