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Robert Musil

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Ottant’anni fa, il 15 aprile 1942 moriva a Ginevra Robert Musil, l’autore dell’Uomo senza qualità, i cui primi due volumi furono pubblicati a Berlino, rispettivamente nel 1930 e 1933, mentre il terzo uscì postumo nel 1943.

Un’opera sterminata, incompiuta, anomala, irrisolta, definita, in seguito, il bilancio intellettuale e morale dell’età moderna. Vi sono, sicuramente, poche opere che sanno esprimere lo spirito di un’epoca, i suoi drammi, le sue catastrofi, con lucida obiettività e insieme con sofferta partecipazione. L’uomo senza qualità è certamente una di queste.

La storia narra la vicenda esistenziale e spirituale di  Ulrich una specie di “uomo  ideale” che, riassumendo in sé tutte le  qualità, non ne possiede nessuna. Ulrich, è un ex-ufficiale, eletto segretario di un comitato di aristocratici messo in piedi per celebrare il giubileo di Francesco Giuseppe nel 1913. La cosa si trascina fino a fallire. Da qui si dipanano varie storie come il racconto della crisi familiare di Walter e Clarissa, che finirà per impazzire; il legame che unisce Ulrich alla sorella Agathe; il caso del condannato a morte Moosbrugger; la descrizione della decadenza dell’impero asburgico chiamato ironicamente Cacania, e della stessa società borghese. L’opera musiliana è una sorta di catalogo del mondo.

Musil nasce a Klagenfurt in Carinzia il 6 novembre 1880. Compie qui gli studi liceali, nel durissimo collegio militare di Mährisch-Weisskirchen (scena del suo primo romanzo: I turbamenti del giovane Törless del 1906). Nel 1901 diventa ingegnere meccanico e per sei mesi è assistente volontario al Politecnico di Stoccarda. Nel 1904 si trasferisce a Berlino, dove segue corsi di filosofia e psicologia sperimentale, laureandosi nel 1908 con una tesi su Mach. Dopo l’esperienza della guerra, cui partecipa come ufficiale dell’esercito austriaco, lavora come bibliotecario, redattore editoriale, impiegato del ministero per la propaganda alle truppe.

Dal 1923 si dedica alla letteratura, aiutato economicamente dall’editore Rowohlt fino al 1931 e in seguito da alcuni amici. All’avvento di Hitler lascia Berlino (dov’era dal 1931) e torna a Vienna. Dopo l’annessione si rifugia in Svizzera a Zurigo e dal 1939 a Ginevra, dove lavora al suo capolavoro e dove muore, improvvisamente, nel bagno di una modesta casetta. Ai suoi funerali erano presenti solo otto persone. Niente tomba, ma ceneri sparse al vento dalla moglie Martha, come aveva chiesto lo scrittore stesso. Della scomparsa di uno dei più grandi scrittori del Novecento, solo qualche giornale svizzero diede una brevissima notizia.

È difficile trovare opere più cariche di pensiero e di tensione teoretica dell’Uomo senza qualità di Robert Musil. Quella che  Robert Musil  descrive nel suo romanzo è una civiltà al tramonto, un’epoca in cui nulla sembrerebbe avere davvero senso né ispirazione.  L’uomo senza qualità   è stato apparentato ad altre opere della letteratura europea come  La coscienza di Zeno di Svevo, l’Ulisse  di Joyce, la  Recherche  di Proust,  La montagna incantata  di Mann.

Tuttavia, Massimo Cacciari nel suo Paradiso e naufragio. Saggio sull’Uomo senza qualità di Musil, (Einaudi, 2022), ribalta questa impostazione, collocando Musil in una costellazione di pensiero che comprende Nietzsche e Wittgenstein, Husserl e Simmel, Planck e Boltzmann, senza perdere i contatti con Rilke e Hofmannsthal. Nello stesso tempo rintraccia i fili che collegano il capolavoro di Musil alle sue prime opere, da  I turbamenti del giovane Törless  a  Incontri  e  Tre donne, oltre che alle prove saggistiche, agli abbozzi, alle conclusioni alternative. Al centro di questa ricchissima trama vi è fin dall’inizio, certo modulato in forma differente, il problema della composizione di ciò che distinto.

«È questo il tema che, attraverso il multiverso delle sue figure, la molteplicità caleidoscopica delle sue narrazioni e delle sue riflessioni, l’Uomo senza qualità espone: l’inseparabilità degli assolutamente distinti, l’affinità che compone ciò che appare incommensurabile, privo di qualsiasi senso comune».

Mentre nella prima parte del romanzo domina l’ironia verso i protagonisti della Grande Stupidità dell’Azione Parallela, ministri e banchieri, gran dame e borghesi, nella seconda parte cambia tutto. Il tono si fa partecipe e commosso, seguendo la ricerca impossibile di unione mistica dei “fratelli siamesi”, Ulrich e Agathe, in un amore che è una via moderna verso Dio.

Questa impossibile possibilità colora l’intero romanzo, inducendo a rileggerlo in una chiave diversa. Ulrich, «l’uomo del possibile, non girovaga tra i possibili». L’uomo contemporaneo abita il «cielo dei casi». Come afferma lo Zarathustra di Nietzsche, ma le sue conoscenze «statistico-probabilistiche» gli consentono solo di affrontarlo con relative certezze. Il mondo di ieri con le sue illusioni di armonia, di compiutezza, con le sue pretese di perfezione da ricercare in ogni campo, è finito per sempre.

Ma, certo non può, neppure lasciarsi ingannare, né deve infatuarsi di ideologie e promesse salvifiche. Come avverte, Cacciari, vie d’uscita non ve ne sono, ma si deve costruire mentre «si va, si cerca». L’uomo moderno crede in Dio o nel proprietario della ditta mondiale? È questa l’ironica domanda che introduce il tipo capitalista, rappresentato da Arnheim. Egli, nella propria “visione del mondo”, pensa che il denaro sia la forza duttile e fantasiosa che permette di regolare i rapporti umani senza ricorrere alla coercizione. A lui si contrappone Ulrich, l’uomo senza qualità, la sua ironica intelligenza e il suo, forse, disperato disincanto, di chi sa che «la meta non è determinabile e, tuttavia occorre avere lo sguardo ben lucido per cogliere tutto ciò che durante il viaggio ci viene incontro o contro».

L’uomo senza qualità è pieno di indimenticabili incontri. Nel secondo volume del romanzo Ulrich, grazie, proprio, all’incontro con la sorella dimenticata, Agathe, entra in un’ “altra” dimensione della ricerca. Essa si sviluppa attraverso i “dialoghi sacri” tra Ulrich e Agathe, verso il Regno Millenario. La conclusione del romanzo interrotto vede messi a confronto due tipi d’uomo. Il primo è l’attivista, guidato da “impaziente agire”, il secondo è il nichilista che “sogna i sogni di Dio”. Ulrich e Agathe erano ora l’uno ora l’altra, secondo i casi.  L’uomo senza qualità descrive quindi una parabola che –  spiega Cacciari – non si conclude.

L’uomo senza qualità è un matematico «di professione», consapevole che essa non è l’opposto, ma il contrappunto dell’anima. Non preclude, ma esige, la potenza dell’immagine. Comprende fino in fondo l’irrazionale. Così come la realtà non nega la possibilità, ma scaturisce da essa. Ogni dato di fatto emerge dal ventaglio di infiniti possibili non realizzati, in una dialettica tra sistema e frammento, unità e molteplicità, esattezza e probabilità. L’uomo senza qualità, è colui che tiene insieme sentimento e intelletto, forma e decisione, istante e durata. Egli sta come un equilibrista in costante tensione tra normalità e utopia. «Il matematico Ulrich, l’uomo senza qualità, si rivolge alla chiarezza e la ama, tanto più intensamente quanto più “con rigore”, ne riconosce l’inafferrabilità».

Ma “l’assenza di qualità” non coincide col nichilismo. Il vuoto di qualità non è semplice assenza, puro niente. Ulrich ha solo tagliato gli ormeggi. Il progetto stesso dell’opera, si realizza solo nel suo stesso naufragio. Il discorso sulla possibilità batte sul muro dell’impossibile e si spezza. Come rappresentare questa aporia senza scioglierla? Restando ad essa fedeli, nella fede di qualcosa che manca. L’unico modo per dirlo è il silenzio. A distanza di un secolo Musil parla di noi.


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