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La premier Meloni con il presidente Nyusi

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Il guizzo creativo in politica estera di Giorgia Meloni può fruttare molto all’Eni, ma altrettanto a tutte le grandi aziende energetiche del Paese. È lo strumento per attuare la coesione nazionale partendo dal primo dei Sud del mondo che è il nostro. Si comincia dal Mozambico dove Sant’Egidio, Zuppi e Raffaelli fecero un grande lavoro per la pace e dalla traduzione moderna dello spirito anticipatore di Mattei. Si vince se siamo di coagulo in Europa.

La situazione in Israele appare pericolosamente incancrenita con Hamas che fa incredibilmente di tutto per favorire una nuova mattanza israeliana che aiuti a dimenticare la sua. Per cui la vera cosa interessante sullo scenario internazionale che ha segnato la giornata di ieri è che l’Italia continua nella politica africana portata avanti da Giorgia Meloni.

Invece di mettersi a fare quello che fanno tutti in politica estera, la premier italiana dimostra con i fatti che la politica di scommettere sull’Africa, scrivendo con i suoi popoli e i suoi Stati il nuovo Piano Mattei, è per l’Italia una scommessa strategica importante. È una scommessa importante che può fruttare molto all’Eni, ma deve fruttare altrettanto a tutte le grandi aziende energetiche del Paese. Soprattutto deve essere uno strumento decisivo per attuare la indispensabile coesione nazionale partendo dal primo dei Sud del mondo che, per ragioni geografiche, storiche, regolamentari, è il Sud italiano.

Questa intuizione strategica rafforza il nome del Piano Mattei attualizzando oggi ciò che di straordinariamente anticipatore aveva ideato e provato a costruire un uomo che guardava molto lontano e pagò allora con la vita la temerarietà di concepire un disegno di così grande respiro. Perché parliamo di merito di Giorgia Meloni? Per una ragione molto semplice: se si mette a scopiazzare la Germania e la Francia non va da nessuna parte, se invece si occupa di Africa dimostra di avere una visione politica che gli altri non hanno e che determina un guizzo creativo sulla politica estera.

Su questa scelta coraggiosa la premier Meloni è stata trattata con sufficienza, a volte addirittura presa in giro, invece è vero l’esatto contrario. Per almeno due motivi. Il primo è oggettivo, anche se ovviamente smontabile con le solite armi della demagogia politica, perché è un dato di fatto che è proprio questo guizzo creativo a potere pagare e restituire tanto all’Italia. Perché si inserisce in un cambio obbligato di quadro geopolitico che pone l’asse Sud-Nord al centro del nuovo mondo che è quello capovolto dopo i carri armati russi in Ucraina che hanno spezzato per sempre i fili dell’asse Est-Ovest.

Il secondo motivo è che nel perseguire questa strategia africana non predatoria la Meloni ha deciso di partire proprio dal Mozambico dove l’Italia ha più di qualche credito da riscuotere. Perché fu l’Italia a impegnarsi molto per ristabilire condizioni di pace in Mozambico molto tempo fa grazie al lavoro di un sottosegretario agli Esteri trentino, Mario Raffaelli, di grande spessore politico e tensione morale, che non ha mai smesso di occuparsi di Africa anche con altri incarichi, grazie al ruolo prezioso della comunità di Sant’Egidio e al lavoro di un grande negoziatore qual è il cardinale Zuppi oggi alla guida della Conferenza episcopale italiana (Cei).

Siamo tornati lì dove l’Italia e la stessa Eni hanno un credito riconosciuto parlando lo stesso linguaggio di Mattei che era alla guida dell’ottava delle sette sorelle promuovendo joint venture alla pari per il petrolio, 50% a testa con i Paesi africani, e finanziando l’anticolonialismo arabo soprattutto in Algeria. Perseguendo, cioè, due obiettivi che fecero arrabbiare molto americani e inglesi.

La tragica fine di Mattei fu l’epilogo terribile di un clima espressione di un quadro di interessi e di un mondo che oggi non esistono più. Scrivere insieme con i Paesi africani oggi il Piano Mattei significa voler fare per il gas, in un contesto completamente cambiato, quello che non fu possibile allora per il petrolio.

Quella dell’Africa è la grande partita della politica estera italiana e il Paese può vincerla usando questo linguaggio e perseguendo queste alleanze, ma portandosi dietro l’Europa a partire da Francia e Germania. Questa è la grande scommessa italiana che non vuol dire “facciamo i fenomeni”, ma proviamo a dire la nostra dove possiamo davvero contare di più per la fiducia che l’Africa ha nei confronti dell’Italia e per un ruolo effettivo di coagulo che possiamo svolgere in Europa.

L’interesse nazionale deve spingere tutti a sostenere questo sforzo perché il futuro globale passa dal nuovo ruolo dei Sud del mondo e da quello di capofila del Sud italiano. Per una volta cerchiamo di non metterci di traverso anche quando storia e geografia combattono insieme a nostro favore.


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