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Andrea Arcangeli in una scena del film

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UN BAMBINO sogna di segnare il rigore decisivo e regalare all’Italia il Mondiale. Diventerà uno dei più grandi e amati calciatori italiani e proprio dal dischetto commetterà l’errore che ha macchiato la sua carriera.

Parliamo di Roberto Baggio, protagonista de “Il Divin Codino” che racconta i suoi momenti più difficili. Il film è diretto da Letizia Lamartire con Andrea Arcangeli protagonista e prodotto da Fabula Pictures. Il biopic di Netflix in associazione con Mediaset sarà disponibile da mercoledì 26 maggio.

“Il Divin Codino” racconta l’uomo dietro i gol e quel rigore sbagliato, il rapporto con il padre, il buddismo, la moglie Andreina e alcuni allenatori: il paterno Mazzone che lo guida a Brescia, ultima sua squadra in serie A, opposto al “cattivo” Sacchi, CT della Nazionale ai Mondiali di USA ’94.

Il rigore della finale con il Brasile lo tormenta ancora oggi: “Questa storia non sarà mai archiviata, piaccia o no, la porterò dentro sempre. D’altronde era il sogno della mia vita calcistica e per come è finita è qualcosa che non posso mettere da parte. L’ho vissuta malissimo proprio perché era qualcosa che avevo rincorso da sempre. Arrivare lì dopo averlo sognato per milioni di notti e poi la realtà è stata quella a cui non avevo mai pensato. Al di là di tutti gli errori che si fanno nella vita, questo non lo cancelli”.

Ricordare la sua carriera solo per quel rigore sarebbe sbagliato. È molto amato dalle tifoserie delle città in cui ha giocato e non solo. Semplice e schivo, ha dovuto vincere la timidezza per partecipare al film. Il suo agente Vittorio Petrone però l’ha convinto: “Pensavo che a nessuno interessasse la mia vita, la mia storia. Devo dire che se oggi siamo qui è stato gran parte merito di Vittorio. Quando ne parlavamo io provavo vergogna, poi mi sono fatto trasportare e ne è valsa la pena”.

Sullo schermo lo interpreta Andrea Arcangeli che gli somiglia e ha trasformato il suo fisico e non solo per renderlo al meglio: “È un ruolo che ti ricopre di responsabilità, la mia prima reazione è stata non accettare. Il produttore Marco De Angelis e gli altri mi hanno fatto cambiare idea. Mi sono aggrappato a Letizia Lamartire e insieme sapevamo di poter fare qualcosa di bello, credibile e forte. Bisognava rispettare alcuni paletti, preparazione fisica e dialetto, e all’interno creare una vita rendendoli credibili. Senza sarebbe stata un’imitazione. Ci ho messo del mio e ho rubato da Roberto. Questo ruolo mi ha lasciato qualcosa dentro: il percorso che ho vissuto nel mentre al di là del risultato”.

È uno dei leitmotiv de Il Divin Codino: non è importante l’obiettivo, ma il percorso per raggiungerlo. Come chiarisce lo stesso Baggio: “È qualcosa che ovviamente ho scoperto nella vita. A volte uno guarda solo il lato finale però poi riesci a riflettere e capire che la cosa più importante è quello che tu dai in quel tragitto per arrivare all’obiettivo. Aver fatto tutto è più appagante al di là che tu possa arrivare primo, secondo o terzo. È quello che uno riesce a mettere in quel desiderio infinito che ha”.

Baggio loda Arcangeli e gli ha consigliato di viversi quest’esperienza e di cogliere quest’occasione. Una sua frase, in particolare, ha colpito l’attore ‘L’importante, alla fine, è sapere di aver fatto tutto quello che potevi fare’: “Questo era l’obiettivo, ma lo capisci dopo. Volevo fare una grande interpretazione e accontentare tutti, ma leggendo la frase ho capito che, per essere felici basta sapere di aver fatto tutto quello che si può. Così è stato e sono tranquillo”.

Nel film è centrale la relazione fra Roberto e la moglie Andreina (Valentina Bellè) e il padre Florindo scomparso proprio durante le riprese (Andrea Pennacchi). Come ricorda, commuovendosi, il campione: “C’è molto del rapporto con lui, a una certa età era quasi un nemico perché rigido. Invece sono grato a lui e mi auguro che possa arrivare quest’insegnamento: certe volte non capiamo l’affetto, la protezione e il desiderio che i genitori hanno di aiutarci. Col tempo questi nodi con l’amore si vanno a sciogliere. Spero che il film possa servire a questo: tanti hanno problemi di relazione con il padre o la madre e poi quando non ci sono più si riflette”. Poche le azioni di gioco e con indosso solo alcuni colori delle squadre in cui ha militato (Lanerossi Vicenza, Fiorentina e Brescia), ma riconoscerete il vero Pallone d’Oro vinto nel 1993 e portato da lui stesso sul set. Protagonisti, invece, i molti infortuni che hanno minato la sua carriera spesso nei momenti più decisivi, come ricorda la regista: “Abbiamo scelto di sviscerare le parti più dolorose della vita di Roberto, come le ha vissute e il percorso seguito per rimettersi in gioco. Sapevamo di lasciare fuori dinamiche ed eventi molto interessanti, ma eravamo convinti che la parte più emotiva fosse racchiusa nei momenti estremamente dolorosi della vita del calciatore”.


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