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Giovanni Miniello resterà ai domiciliari. Il Tribunale del Riesame di Bari ha rigettato l’appello della Procura che chiedeva la detenzione in carcere per il ginecologo barese arrestato il 30 novembre scorso per violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti. I giudici hanno quindi confermato la detenzione del professionista agli arresti domiciliari. Nei suoi confronti, dopo l’arresto, sono state presentate denunce di abusi subiti anche da altre donne, portando il numero delle presunte vittime a 16 e a 29 gli episodi contestati di violenza sessuale e lesioni.

Nell’indagine dei carabinieri, coordinata dal procuratore Roberto Rossi con l’aggiunto Giuseppe Maralfa e le sostitute Grazia Errede e Larissa Catella, il medico è accusato di aver proposto rapporti sessuali come cura per il papilloma virus e per prevenire il tumore dell’utero e di aver poi abusato delle pazienti durante le visite. Per questo, la Procura aveva chiesto il carcere per Miniello.

Ma il Riesame non è stato d’accordo ed è presto spiegato. «Per quanto deontologicamente scorretta – spiegano i giudici nel provvedimento – la condotta di Miniello non risulta né irresistibilmente coattiva né posta in essere con approfittamento delle condizioni di inferiorità fisica o psichica delle pazienti», tanto è vero che «la proposta terapeutica alternativa» di rapporti sessuali come cura per il papilloma virus «era apparsa talmente surreale» alle pazienti da rifiutarla. Sono questi alcuni dei passaggi del provvedimento con il quale i giudici del Riesame hanno rigettato l’appello della Procura.

Miniello è agli arresti domiciliari da novembre scorso per violenza sessuale su due pazienti durante le visite. In quell’occasione, il gip non riconobbe il reato di violenza sessuale con riferimento alla proposta che il medico avrebbe avanzato ad altre due pazienti di avere rapporti sessuali con lui per curarle dal papilloma virus.

Secondo i giudici, la proposta del rapporto sessuale come cura è «fuori dal campo d’azione della violenza o della minaccia costrittiva, tutt’al più potrebbe integrare gli estremi di una condotta induttivo-manipolativa finalizzata a trarre in inganno la vittima circa l’equivalenza di efficacia delle due strade di guarigione dal papilloma virus astrattamente percorribili, quella convenzionale con la sperimentale sessuale». Dalle dichiarazioni delle stesse donne, evidenziano i giudici, «emerge la percezione avuta della improbabilità, al limite dell’assurdo, che una tale pratica sessuale potesse avere un effetto curativo».

La Procura, invece, chiedeva di riconoscere come violenza sessuale anche le «terapie del sesso» che Miniello proponeva come cura per il papilloma virus e per prevenire il tumore dell’utero e di ritenere non tardive le querele di altre due pazienti che hanno denunciato molto tempo dopo i fatti, solo quando hanno compreso – secondo i pm – di essere state vittime di abusi. «Le vittime – scrivono i giudici a questo proposito – avevano ben compreso lo sconfinamento del limite dell’attività diagnostico terapeutica di Miniello» già nel corso delle visite e «non si comprende come possa ragionevolmente sostenersi che abbiano acquisito consapevolezza di aver subito molestie sessuali solo dopo» tanto tempo.

«Il provvedimento del Tribunale del Riesame di Bari e, prima, quello del gip – commenta il difensore di Miniello, l’avvocato Roberto Eustachio Sisto – si sono posti in perfetta linea con i fondamentali principi in materia di libertà personale. Quanto affermato dai giudici consente di ribadire la necessità di dare privilegio all’accertamento penale evitando ogni disinformazione derivante dal processo mediatico. Grande soddisfazione».

Va anche ricordato, inoltre, che il ginecologo barese, già da dicembre scorso, è stato sospeso “ope legis” dall’esercizio della professione per la durata pari a quella della misura cautelare stabilita dal giudice.

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