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Loredana Tauriello

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POTENZA – A ottobre del 2018 era scampata per un soffio all’arresto, durante il primo blitz contro il clan degli scanzanesi guidato dall’ex carabiniere Gerardo Schettino. Di fatto il gip non aveva creduto che una madre incensurata di 36 anni fosse davvero capace di fare quello di cui era accusata: l’esca per facoltosi imprenditori che poi spingeva tra le braccia del clan, e finivano sotto estorsione.

Ma a dicembre dell’anno dopo altri arresti hanno sgominato i traffici di droga e armi gestiti, a Bernalda, dall’ex gestore dell’Hotel La Corte, Vincenzo Porcelli, e da sua moglie, “lady mafia” Susanna Ditaranto di Montescaglioso, la prima donna lucana sorvegliata speciale. A quel punto deve aver capito che il suo momento era arrivato. E oltre alla piazza di spaccio di Porcelli e Ditaranto, si è presa anche quella di Scanzano.

È una storia criminale degna di una serie tv quella che emerge dagli atti dell’inchiesta per cui ieri mattina sono scattate 19 misure cautelari tra Bernalda, Pisticci, e le province di Taranto, Bari e Roma. Al centro c’è lei, la nuova “lady mafia” lucana, Loredana Tauriello, finita in carcere già a ottobre dell’anno scorso dopo un primo fermo di indiziato di delitto eseguito per evitare che si desse alla fuga.

Meno di 2 settimane fa il pm antimafia Annagloria Piccininni si era soffermata sul profilo di Tauriello anche durante la discussione del processo contro il clan degli scanzanesi, in cui ha chiesto 202 anni di reclusione complessivi per 16 persone.

Tra queste, infatti, c’è proprio lei, che rischia 9 anni di carcere con l’accusa di associazione mafiosa ed estorsione. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti Tauriello avrebbe intessuto, in particolare, «relazioni sentimentali con soggetti facilmente ricattabili», che poi avrebbe indotto «inculcando in loro timori e pericoli di ritorsioni, a soggiacere alle richieste estorsive». Il caso più importante finito sotto la lente dei pm è stato quello di un noto costruttore di Pisticci, con appalti anche nel settore petrolifero, che nelle intenzioni di Schettino e soci sarebbe dovuto essere la testa di ponte per l’ingresso del clan nell’affare della ricostruzione in Abruzzo.

Ma in un’intercettazione due degli altri indagati fanno riferimento a un altro imprenditore con cui Tauriello avrebbe allacciato una relazione sentimentale, che a distanza di qualche giorno avrebbe trovato ai cancelli della sua impresa «un altare funerario con 2 vasi con fiori in plastica, un cero votivo e un proiettile».

Di qui i sospetti sull’esistenza di un sistema collaudato per estorcere denaro a «soggetti con capacità economiche, imprenditori, soggetti con relazioni extraconiugale che se rivelati porterebbero a gravi danni di immagine».

Di tutto rispetto anche le accuse nei confronti della prima “lady mafia” lucana, la 55enne Susanna Ditaranto, che a dicembre del 2019 venne arrestata dopo la scoperta di un’intercapedine all’interno del box doccia di uno dei bagni della casa in cui viveva con Porcelli, e di un altro nascondiglio nell’abitazione di una vicina.

Basti pensare che al loro interno vennero trovati: «1,2 chili circa di cocaina, 2,7 chili circa di hashish suddivisi in 27 panetti, 125 grammi di marijuana, 2 fucili, 5 pistole (revolver e semiautomatiche), circa 5mila proiettili di vario calibro e potenzialità, 4,5 chili di materiale esplodente, costituito da diversi ordigni e manufatti esplosivi, completi di miccia». Qualcosa che in una regione “tranquilla” come la Basilicata non si vede spesso.

Ditaranto era finita nel mirino degli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Potenza già negli anni ‘90, a causa della sua relazione sentimentale a un noto boss come Alessandro Bozza, trasferitosi a Montescaglioso da Ginosa (come racconta Pantaleone Sergi nel suo “Gli anni dei basilischi”) proprio per un connubio affaristico-sentimentale con la famiglia della compagna.

Nella sanguinosa guerra tra bande che si estese in terra lucana dopo l’esodo dal tarantino, al seguito di Bozza, di numerosi esponenti dei clan in lotta per il predominio sulla città dei due mari, il boss si sarebbe macchiato di due omicidi. Per questo, pochi anni più tardi, è finito in carcere ed è stato condannato all’ergastolo.

Per Ditaranto, invece, dopo gli arresti e la condanna al carcere a vita del compagno, di fatto si era aperta la strada per iniziare una nuova vita a Bernalda, nonostante l’etichetta pesante di sorvegliata speciale di pubblica sicurezza.

Ma l’attrazione per certi affari non l’avrebbe abbandonata, anche dopo il matrimonio con Vincenzo Porcelli, un insospettabile 48enne del posto, a lungo gestore di noto hotel – ristorante del paese sul litorale ionico lucano.

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