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Paolo Mascaro

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LAMEZIA TERME – Il Consiglio di Stato ha accolto la sospensiva chiesta dall’Avvocatura dello Stato, pertanto al Comune restano i commissari straordinari (LEGGI DEL LORO REINSEDIAMENTO).

Il Consiglio di Stato, dopo aver accolto la sospensiva in via cautelare il 23 marzo scorso (LEGGI LA NOTIZIA), ha confermato oggi la sospensione dell’esecutività della sentenza del Tar del Lazio che aveva consentito (accogliendo il ricorso del sindaco Paolo Mascaro e degli assessori Giuseppe Costanzo, Stefania Petronio, Angelo Simone Cicco, Elisa Gullo, Michelangelo Cardamone), il reinsediamento (dopo 15 mesi di commissariamento) del sindaco Paolo Mascaro, della Giunta e del Consiglio comunale.

Il 22 febbraio la sentenza del Tar (LEGGI), il 27 febbraio il reinsediamento del sindaco (LEGGI) che, a meno di un mese dal suo ritorno, lasciò dunque (nuovamente) la guida del Comune su decisione del Consiglio di Stato oggi confermata. Tra l’altro, il 4 aprile scorso, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha prorogato il commissariamento del Comune per altri sei mesi, quindi fino a novembre 2019. Ora bisognerà attendere la sentenza di merito del Consiglio di Stato per il pronunciamento definitivo sullo scioglimento del Consiglio comunale.

Nel frattempo, proprio oggi per l’ex sindaco era arrivata la buona notizia della richiesta di proscioglimento da parte della Procura riguardo l’accusa di abuso d’ufficio in relazione all’utilizzo per la Final Eight del Palazzetto dello sport (LEGGI).

«Non saranno ingiusti provvedimenti giudiziari – ha dichiarato lo stesso ex sindaco Mascaro – a fermare il mio amore per Lamezia ed il mio desiderio di cambiare un sistema intrappolato da logiche perverse. Continuerò a combattere per far trionfare la giustizia, continuerò a combattere per difendere un territorio massacrato dall’ignavia e dalla codardia. Continuerò comunque a credere nella giustizia ed a credere nella possibilità di trasformare un sistema ingiusto che calpesta democrazia e diritti. Oggi più che mai, tutti dobbiamo difendere Lamezia».

Ecco cosa dicono i giudici del Consiglio di Stato: «Considerato – scrivono nell’ordinanza i giudici del Consiglio di Stato, Franco Frattini, Presidente Massimiliano Noccelli, Consigliere Stefania Santoleri, Consigliere Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore Raffaello Sestini, Consigliere – in sede di prima delibazione propria della fase cautelare, che la perdita di efficacia del termine di 18 mesi previsti dal comma 10 dell’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone, stante la ratio allo stesso sottesa, la sua integrale utilizzazione da parte dell’Organo straordinario prefettizio, con la conseguenza che l’interruzione di detto termine per effetto del reinsediamento degli Organi elettivo ne comporta la sospensione; che lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato (Cons. Stato, sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1165); Considerato che l’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000, al comma 1 richiede che la predetta situazione sia resa significativa da elementi “concreti, univoci e rilevanti”, che assumano valenza tale da determinare “un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”; Considerato che le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso”; che assumono quindi rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione; in sede di prima valutazione propria della fase cautelare, che il Tar non sembra aver fatto buon governo di detti principi in considerazione dei fatti indicati dalla relazione ministeriale e dalla Commissione di indagine come sintomatici della contaminazione della criminalità organizzata ma non valutati, nella loro gravità e globalità, dal giudice di primo grado; Considerato infatti che sono stati sottovalutati, dal giudice di primo grado, episodi – emersi in occasione della operazione coordinata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro del maggio 2017 che sono chiari indici sintomatici dell’infiltrazione della criminalità organizzata nelle maglie dell’ordinamento dell’amministrazione del Comune di Lamezia quali il frequente affidamento delle gare alle stesse società, l’assegnazione di concessioni a soggetti privi di requisiti, la compravendita di voti finalizzata all’elezione alla tornata elettorale del maggio 2015 di un consigliere poi eletto e nominato presidente dell’organo consiliare, la posizione di un consigliere che ha un ruolo attivo nella vita amministrativa del Comune, il cui fidanzato è interessato dall’operazione di polizia giudiziaria. Considerato pertanto che la sentenza del Tar Lazio debba essere sospesa, risultando altresì necessario che il Commissariamento prosegua nella sua azione di risanamento, ciò corrispondendo ad un interesse pubblico generale di rango superiore rispetto alla pretesa, in questa sede, di reinsediamento dei disciolti organi per il periodo conclusivo della consiliatura; Ritenuto infatti che la contaminazione mafiosa sulle attività di un ente pubblico rappresenta esattamente l’opposto dei principi democratici di rappresentanza elettiva, cui pure il TAR si riferisce, forse non tenendo conto che nel procedimento ex art. 143 TUEL intervengono le massime autorità dello Stato, a dimostrazione che lo strumento in esame è il presidio avanzato proprio per la tutela della libertà di espressione democratica, allorché fondati indizi conducano al “più probabile che non” pericolo di contaminazione della mafia, la quale per sua natura rappresenta la negazione di ogni valore dello Stato di diritto; Considerato che le spese della presente fase cautelare seguono la soccombenza e che l’udienza di merito sarà fissata con separato decreto del Presidente della Sezione”. Per questi motivi, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), accoglie l’istanza di sospensione cautelare della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, condanna la parte appellata costituita alle spese e gli onorari del giudizio, che liquida in € 5.000,00 (euro cinquemila) per il doppio grado di giudizio».

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