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Michelangelo Frammartino durante la premiazione

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Come ci si congratula con qualcuno che ha ottenuto un riconoscimento a una delle mostre più importanti del cinema? Gli si dice semplicemente “auguri”? O un “bravo”, assai informale, risulta maggiormente consigliato? Per chi scrive, quei secondi che precedono l’avvio di una telefonata – quelli, per intenderci, contrassegnati dall’onomatopeico “bip-bip” – sono accompagnati dalle domande di cui sopra.

LA MERAVIGLIOSA VITTORIA DEL SUD

Ma alla fine, come spesso avviene, quando Michelangelo Frammartino, premio speciale della giuria per Il buco a Venezia78, alla chiamata del Quotidiano del Sud, risponde, le parole precedentemente in mente sono sostituite da un lapidario “grazie”. Un grazie che oggi racchiude tutto l’entusiasmo e la contentezza di una comunità di un sud ultraperiferico che, attraverso la storia narrata nella pellicola, può trovare il modo di riscattarsi, ma soprattutto può dire a gran voce che quell’applauso scrosciante, e commovente e ricco di significato, proveniente dai velluti blu di un folto teatro con innumerevoli artisti di fama internazionale, è pure per essa.

Del resto, per chi ancora non lo sapesse (difficile a tali latitudini), Il buco, ambientato nell’Abisso del Bifurto, sulle pendici del Pollino, verte sull’impresa compiuta nel 1961 da un gruppo di speleologi (solo due superstiti hanno assistito alla proiezione durante il Festival), calatisi a quasi 700 metri sottoterra, proprio là dove venne scoperta l’allora seconda grotta più grande del mondo. Pertanto, prima che il regista Michelangelo Frammartino – le sue origini sono ca va sans dire calabresi – si metta in viaggio e prima che lasci la città della Laguna a 24 ore dal suo trionfo, questo giornale riesce a contattarlo. E sì, oltre a congratularsi a modo suo, anche a porgli qualche domanda. La prima è la più banale, ma molto probabilmente la più dovuta.

Ieri sera a Venezia (sabato 11 settembre, ndr) ha ottenuto il prestigioso riconoscimento della giuria. Se lo aspettava?

«No, e, a esser sinceri, non ci aspettavamo neanche la grande possibilità di partecipare al concorso. Il buco è un film che abbiamo realizzato in maniera assai libera e che non credevamo potesse rispondere alle esigenze complicate di più persone o addirittura di una giuria. Quando il direttore della mostra (Alberto Barbera, ndr) ci ha invitati – certo, ci abbiamo pensato un attimo (ride, ndr) -, ne siamo stati onoratissimi. Dunque, con questa vittoria, siamo realmente contenti; così come siamo contenti di come il film, che ha tempi particolari e richiede molta collaborazione durante la visione, sia stato ben accolto».

Il Premio speciale della giuria, tra le altre cose, lo ha dedicato alla Calabria: la terra a cui è legato non solo per le sue origini e per il fatto d’averci girato la sua opera, ma pure perché è proprio qui che la pellicola ha ricevuto il sostegno della Film commission regionale.

«Infatti, quando sul palco ho ringraziato la Calabria mi riferivo a tutta la Calabria. Anche alla Calabria film commission, al tempo guidata da Giuseppe Citrigno, che, per la realizzazione de Il buco, ci ha davvero e grandemente sostenuto».

E a proposito di Calabria e calabresi, il sindaco di Cerchiara Antonio Carlomagno non ha perso tempo: già ha reso noto che vorrà nuovamente ospitarla.

«Accolgo l’invito subito. L’Abisso del Bifurto, dove Il buco è ambientato, ricade nel Comune di Cerchiara e Cerchiara, al pari dei paesi limitrofi, ci ha aiutato tantissimo (utilizziamo nel film la chiesa di Cerchiara e poi molti sono gli abitanti che alla pellicola hanno preso parte), nonché ospitati e accolti nel migliore dei modi. Io ritengo che queste grotte che contrassegnano il suo territorio, col loro buio, uniscano tutto il mondo. Aggiungo una cosa: mentre giravamo, siamo rimasti bloccati proprio nel Bifurto: non ci siamo allarmati, perché eravamo certi, alla luce dell’accoglienza ricevuta, che saremmo stati salvati».

Stando qui a parlare, si deduce che il salvataggio sia andato in porto.

«Sì, anche grazie al Gruppo speleologico della Calabria».

In quanto a grotte e a oscurità, invece, cosa può affermare? Non trova che, se lo speleologo si prende cura del buio, lo faccia anche il regista che conduce lo spettatore in una sala, non a caso, senza luci?

«Sono assolutamente d’accordo e dico anche che non ci sono molti registi che si prendono cura del buio. Intorno abbiamo molta luce, molte immagini luminose e seducenti; d’altronde si sa, questa luce è molto più accattivante. Il buio, al contrario, fa paura, il buio comporta una responsabilità nei confronti dello spettatore. Ecco, tenere un piede nell’ombra, gettare lo sguardo su quell’ombra, è un modo per rispettare chi guarda un film ed è nel buio che si diventa una carne sola».

Ultima domanda: progetti futuri? Anticipazioni?

«Io sono molto lento nella realizzazione dei miei lavori (ride, ndr), ma anticipo d’avere in mente qualcosa che ha ancora a che fare col Sud. Per il momento questo qualcosa è solo l’insieme di varie sensazioni: se le sensazioni, col tempo, prenderanno forma, allora potrò dire con certezza di aver iniziato un lavoro».

Il video della premiazione
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