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Il luogo del delitto compiuto lo scorso 8 marzo a San Leonardo di Cutro

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CUTRO – In aula, dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro, alla prima udienza del processo col rito immediato per il femminicidio dello scorso 8 marzo, dove, nella frazione San Leonardo, piccolo borgo di meno di mille anime, in una casetta in pieno centro, in via dei Gesuiti, fu uccisa Vincenza Ribecco, ci sono i figli della donna. Rosaria e Domenico sono lì per costituirsi parte civile contro il loro padre, Alfonso Diletto, ex marito della vittima, il quale deve rispondere anche di atteggiamenti persecutori.

In aula c’è anche Diletto, impassibile, anche quando il figlio gli urla contro qualcosa. Si sono costituiti parte civile, Rosaria e Domenico, che quel cognome non vogliono più portarlo. Si sono costituiti insieme ad altri familiari, assistiti dagli avvocati Luigi Falcone, Tiziano Saporito, Antonella Cannistrà e Carmine Borelli.

Parte civile si è costituita anche l’associazione “Al posto tuo”, con sede a Torino. Il processo si celebra nelle forme del rito immediato essendo stata accolta dal gip del Tribunale di Crotone la richiesta del sostituto procuratore Andrea Corvino che riteneva di avere in mano prove evidenti per poter bypassare l’udienza preliminare.

Prove evidenti contro quell’uomo che, come ha confermato nel corso dell’inchiesta anche la dottoressa di famiglia Giovanna Vitaliano, la ossessionava con la sua gelosia morbosa. Il difensore, l’avvocato Luigi Colacino, ha formulato un’eccezione di legittimità costituzionale sull’inapplicabilità del rito abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo e i giudici si sono riservati.

Riprenderà il prossimo 24 gennaio il processo per fare luce sulla morte di quella donna che temeva di ritrovarsi nei pressi di casa il suo ex e che questi potesse ucciderla. Così è stato, alla fine. Diletto, secondo la ricostruzione accusatoria, il pomeriggio dell’8 marzo si presentò a casa dell’ex moglie con in tasca una pistola calibro 7.65 illegalmente detenuta e sparò appena fuori dalla porta-finestra un colpo che trapassò il vetro raggiungendo al cuore la vittima.

Al pm Corvino, durante l’interrogatorio in cui a un certo punto crollò dopo aver prima negato di sapere che l’ex moglie fosse morta, Diletto aveva detto di essersi armato perché temeva di trovare a casa il presunto – più che mai – amante di lei.

Soltanto una volta messo alle strette, dopo che i carabinieri gli fecero sapere di essere al corrente del fatto che a suo fratello, che vive nel Mantovano, subito dopo il delitto aveva detto di aver «perso la testa» commettendo qualcosa di “brutto” riferito all’ex moglie, Diletto ammise di aver sparato. Quindi fece ritrovare l’arma, di cui s’era liberato al rientro, da San Leonardo a Cutro, gettandola in un dirupo.

Ma vengono contestati anche gli atti persecutori, tant’è che i timori della vittima erano risaputi dai suoi parenti, anzi, da tutta la piccola comunità di San Leonardo. Forse, “Cecè”, come era chiamata la donna in paese, si sarebbe potuta salvare.

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