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L'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano

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Giustizia è fatta sul caso Lucano? Giustizia è fatta sulle ombre che la Procura ha trovato nelle carte della gestione dei progetti di accoglienza dei migranti in quel di Riace, il borgo calabrese che fino a qualche anno fa era sulle pagine dei giornali di tutto il mondo come il paese dell’accoglienza? E che con il suo sindaco di allora, Domenico Lucano, era diventato un simbolo e un esempio?

TUTTO DIPENDE

Dipende da cosa si intenda per giustizia. Per quella delle carte e delle aule di tribunale giustizia è fatta, almeno con una sentenza di primo grado che ha condannato Lucano a 13 anni e due mesi di reclusione. Ben al di là dei 7 anni e 11 mesi chiesti dalla pubblica accusa.

Le cronache della giornata, a parte una “svista” di non poco conto sul reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (un solo capo d’imputazione per un singolo caso per il quale Lucano è stato assolto «perché il fatto non sussiste» e non condannato), riferiscono dei reati costati a Lucano i 13 anni e passa di reclusione: associazione per delinquere, truffa aggravata, episodi di abuso d’ufficio e falso.

Tutti riconducibili ad attività (spesso non rendicontate a puntino) di accoglienza per le quali alcune associazioni locali hanno percepito rimborsi dallo Stato in maniera non regolare (perché, per esempio, secondo l’accusa, molti immigrati non avevano più diritto a permanere nei progetti). E questa è la giustizia delle carte.

L’altra no, non è stata fatta, perché l’entità della pena dovrebbe fare venire la pelle d’oca non solo al popolo della sinistra che sostiene da anni Lucano, che peraltro non risulta abbia patrimoni nascosti in paradisi fiscali (anzi, testimonianze autorevoli parlano di una persona spesso in difficoltà economica persino per spostarsi).

La sensazione alla notizia di quei 13 anni e due mesi di reclusione inflitti dal Tribunale di Locri è assimilabile, probabilmente, a quella che si avrebbe di fronte alla condanna a cinque anni per il furto di un cespo di banane. Insomma, non è solo l’amarezza delle sue parole dopo la lettura del dispositivo (“neanche a un mafioso…”). È la palese incongruenza, nella sostanza della vita persino di un Paese offuscato da ventate di giustizialismo, tra quello di cui era accusato e la quantità di anni di carcere.

STRUMENTALIZZAZIONI

Certo, ci sarà l’appello, la Cassazione… ma l’amarezza dovrebbe essere collettiva, almeno in chi crede ancora che la giustizia delle carte e quella della sostanza non dovrebbero essere così lontane. E tutto al netto, naturalmente, di strumentalizzazioni un tanto al chilo che fanno comodo, per esempio in Calabria, a due giorni dal voto per le regionali, nelle quali lo stesso Lucano è impegnato con una lista a sostegno del candidato governatore Luigi de Magistris.

Nonostante nel borgo di Riace, costa jonica reggina, una volta che Lucano è stato travolto dall’inchiesta, abbiano cambiato persino i cartelli stradali (da “paese dell’accoglienza” in “paese dei santi Cosma e Damiano”, ma Papa Francesco probabilmente non lo ha saputo), l’esperienza creata da “Mimmo il curdo” è ormai nelle pagine di storia. Quella della giustizia della gente non è stata scritta. P. s. Gli importi delle presunte erogazioni pubbliche non dovute per le quali vi è stata la condanna non superano complessivamente i 300mila euro. Alla prossima condanna, qua e là per l’Italia, per una truffa da un paio di milioni di euro, se dovesse essere inflitto il carcere a vita a qualche allegro intermediario di gruppi di potere, per favore, non storciamo il naso. Anche se sarebbe solo, anche quella, giustizia delle carte.

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