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Matteo Salvini e Giorgia Meloni

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È BASTATA una mezza frase di Guido Crosetto, l’indicazione che nell’agenda del prossimo (eventuale) governo Meloni l’autonomia differenziata non sarebbe al primo al terzo posto tra le cose da fare subito – dopo  crisi energetica e presidenzialismo – per scatenare i malumori leghisti.  Eppure Crosetto, uno dei tre fondatori di Fratelli d’Italia, ce l’aveva messa tutta mercoledì scorso per rassicurare gli industriali veneti dicendo che il suo partito non è più Alleanza nazionale, «il partito romano e statalista», ma un partito aperto al federalismo.

Parole, quelle del deputato piemontese, accolte l’altro giorno a Vicenza con un certo scetticismo che hanno suscitato l’ira dei leghisti. FdI è data in crescita anche in Veneto e Lombardia dove la Lega teme il sorpasso. Per anni il partito della Meloni è stato percepito al Nord come espressione di un ceto pigro e parassitario.  Pregiudizio difficile da sradicare. Ma ora qualcosa sta cambiando.

Per “stanare” quanto ci sia di promesse elettorali e quanto di vere nella posizione del suo principale alleato, il Carroccio ha dunque chiesto impegni precisi. Non si fida. Zaia e Fontana, rispettivamente governatori del Veneto e della Lombardia, vogliono tutto nero su bianco, «Roma  scriva il percorso che porterà in tempi rapidi all’autonomia del Nord». Nei conciliaboli di questi giorni il tema è stato abbondantemente trattato.

Questa volta non basterà mettere a capo del ministero degli Affari regionali un leghista doc. Le esperienze passate insegnano che non è piantando una bandierina in un dicastero che si realizza il sogno  ultra-federalista. Ne sanno qualcosa Roberto Calderoni ed Erika Stefani che hanno fallito entrambi la loro missione.  Serve un ministero ad hoc, il “ministero della Secessione”.

SENZA AUTONOMIA NESSUN GOVERNO

«Crosetto dice che l’autonomia non è una priorità? – è sbottata Mara Bizzotto, candidata al Senato con la Lega a Vicenza – Con Fdi governiamo molte città e regioni, ma noi siamo una forza autonomista e lo diciamo chiaro e tondo, l’autonomia deve arrivare subito». Quella frase di Crosetto, «ora risolviamo la crisi energetica, poi si lavora per l’autonomia delle nostre regioni», proprio non gli è andata giù.

«Lo dico anche a Giorgia Meloni – ha proseguito la Bizzotto, eurodeputata di Bassano del Grappa  –  non ci sarà alcun governo di centrodestra senza che si faccia l’autonomia del Veneto, della Lombardia e delle altre regioni che la vorranno chiedere». E ancora, salendo di qualche decibel, sempre rivolta agli alleati di Fdi: «Se non lo hanno capito l’autonomia viene prima di tutto, c’è tra l’altro un referendum votato dal popolo e un percorso già avviato, la legge quadro della Gelmini, una norma incardinata, quindi non si può esitare».

E mette anche le mani avanti, paventando una sorta di ritorsione: «Loro puntano sul presidenzialismo? Mi pare che per quella riforma la strada sia molto più lunga, c’è molto da discutere, mentre voglio dire con chiarezza che senza autonomia non ci sarà il governo di centrodestra».

Chiaro? E dire che Crosetto, dirigente d’azienda, cresciuto in una famiglia di industriali, conoscendo bene i gusti della platea vicentina si era persino sbilanciato, arrivando a sostenere che trasferire e risorse dal centro alla periferia non è peccato, che anzi «è giusto farlo, la spesa va allocata dove è migliore il risultato, e quindi se è comunale e regionale va allocata lì». Riferimento al disegno di legge presentato da Mariastella Gelmini, la cornice entro la quale andrebbero collocate le intese con le singole regioni che ne hanno fatto richiesta.

Un dl che  consentirebbe alle regioni più ricche di trattenere il maggior gettito di risorse. Il contrario insomma della perequazione e dei principi di solidarietà sanciti dalla nostra Carta costituzionale. Lo Stato cederebbe agli enti regionali, insieme alle nuove funzioni, anche le entrate fiscali necessarie a svolgerle. Inutile dire che a trarne vantaggio soprattutto le cosiddette regioni del Pil a discapito di tutte le altre.

Un disegno “spacca Italia” rispedito al mittente. Anche se la Gelmini, transitata nel frattempo da Forza Italia ad Azione, non la pensa così: «Spiace vedere che il lavoro fatto in questi mesi con Zaia, Fontana, Fedriga,  Bonaccini e altri governatori venga buttato al macero. Ma anche Salvini – ha proseguito il ministro agli Affari regionali sa che con l’autonomia di cui si parla tanto per fini elettorali non si farà mai. Oggi il disegno di legge sarebbe all’esame del Parlamento. Ognuno ha le sue priorità, chi gli slogan elettorali, chi gli interessi del Paese».

Il tema è caldo, dunque. E la pandemia purtroppo non ha insegnato niente. Sanità sempre in affanno, moltiplicazione die centro di potere, grotteschi conflitti di attribuzione che complicano la vita alla Consulta non hanno scoraggiato i fautori di destra e di sinistra della autonomia differenziata. Chi vuole riaprire questo cantiere dismesso da anni  vuole che la strada sia sgombra da ostacoli. Che il Parlamento non metta i bastoni tra le ruote, e che quindi, le pre-intese fra governo e regioni siano non emendabili. Altro passaggio non condiviso all’interno del centrodestra.  Che per il Paese insomma l’autonomia non sia la priorità  assoluta è un fatto assodato. Ma potrebbe diventarlo strada facendo per la tenuta del nuovo governo.


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