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Un bambino a scuola

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«A scuola non andavamo, eravamo poveri e i nostri genitori non potevano occuparsi troppo di noi bambini, mamma era spesso malata e papà sempre alla ricerca di un lavoro, di un po’ di soldi per comprarci un paio di scarpe o per portarci dal medico. E allora un giorno i nonni ci hanno accompagnato alla stazione di Cassino, il treno era già lì, pieno di altri bambini che ci salutavano dai vagoni con le bandierine. Andavamo al nord, a casa di persone che ci avrebbero ospitato, lì avremmo avuto un letto tutto per noi, da mangiare, vestiti nuovi e saremmo potuti finalmente andare a scuola, tutti i giorni».

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È il ricordo di Aldo, uno dei tanti bambini, alcuni davvero molto piccoli, appena due, tre anni di età, che subito dopo la fine della guerra, tra il 1946 e il 1950, dal mio paese nel frusinate, da Cassino e da gran parte del Mezzogiorno, furono ospitati da famiglie del nord che aderirono alle campagne per salvare l’infanzia dei bambini più disagiati del Sud.

Salvare l’infanzia significava e significa ridurre le diseguaglianze, presenti e future, quelle economiche, sociali e culturali, le stesse che ci sono ancora oggi tra nord e sud, dove l’infanzia è ancora cancellata, tradita dall’assenza di investimenti precoci che diano alle famiglie ed ai bambini la possibilità di frequentare asili, avere mense scolastiche, tempo pieno e scuole sicure.

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In Italia la media dei bambini che frequenta nidi pubblici presenta enormi differenze tra nord e sud. Nel Centro Nord la media supera il 25%, al Mezzogiorno, in regioni come la Puglia, la Calabria, la Sicilia o la Campania, la copertura è inferiore al 6%, cioè al di sotto della soglia minima. Vuol dire che 94 bambini su cento, in regioni con indici di deprivazione sociale altissimi per disoccupazione, bassa istruzione, sovraffollamento abitativo e rischio criminalità, non hanno diritto all’infanzia.

Anche la spesa dei singoli Comuni per l’infanzia è molto diversa: si va dai quasi tremila euro per i bambini residenti al nord, ai circa duemila euro all’anno nel centro, per precipitare agli 88 euro della Calabria, mentre 19 euro è la spesa annua del Comune di Reggio Calabria per ciascun bambino.

 Le prove Invalsi I figli del sud sono prole destinata all’abbandono scolastico, al lavoro minorile in aiuto delle famiglie, per vivere poi da adulti esclusione e marginalità, condannati alle stesse diseguaglianze dell’Italia del dopoguerra, senza progresso, né speranza, con svantaggi sociali, scolastici e lavorativi. Lo dimostrano le drammatiche differenze di alfabetizzazione registrate nelle prove Invalsi tra i bambini del nord e quelli del sud, già in scolari di 9 anni. Per l’infanzia del sud mancano le risorse economiche necessarie, abilmente bloccate e succhiate dal nord, grazie a criteri di assegnazione dei fondi regionali che penalizzano il mezzogiorno. La ripartizione delle risorse tra le singole regioni avviene secondo il criterio della vecchiaia e della spesa storica: più una regione è vecchia nella popolazione e più soldi ottiene, e siccome al sud si fanno più figli, la media dell’età della popolazione scende e con lei i soldi, ed ogni anno è peggio poiché ogni regione riparte dalle somme degli anni precedenti, sempre in calo per effetto della crisi.

Come dire: l’assistenza nei confronti degli anziani è doverosa e costa, mentre quella per i bambini no. Regole assurde che andrebbero cambiate, ma in conferenza delle regioni i rappresentanti del sud sono spesso assenti o impreparati e quindi incapaci di modificare il meccanismo di attribuzione delle risorse. Un’incapacità colpevole e dannosa di cui il nord approfitta, condannando il Paese ad una ingiusta diseguaglianza, che sottrae al PIL nazionale oltre l’1%, tanto costa la povertà educativa dei bambini del Mezzogiorno, per quanto concerne la sola perdita di redditi da lavori più qualificati che avrebbero svolto da adulti grazie a un’infanzia come quella dei figli del nord. Ma il nostro è il Paese dove, a fronte della crisi demografica, prima si chiede di fare figli e poi si dà in premio un pezzo di terra. Persino le mamme dei terroni preferirebbero gli asili.


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