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Il crollo della spesa per investimenti al Sud Italia dal 1951 al 2015

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In economia, quando il prodotto interno lordo segna un calo per tre trimestri consecutivi, si parla di recessione. Ecco, di recessione si può già parlare allora anche per quanto riguarda la produzione industriale del nostro Paese, che negli ultimi mesi del 2019 ha registrato addirittura la flessione più pesante dal 2013.

Un effetto domino prevedibile, che non può non tenere conto di altri dati, sempre riferiti alla produzione industriale, ma questa volta tedesca. La Germania frena, anzi arretra: a gennaio il Paese di frau Merkel lascia sul campo il 3,5%, superando di parecchio le stime negative degli analisti che avevano preventivato un -0,2%.

Una batosta che scavalca le Alpi e si abbatte sull’Italia, che proprio con la Germania realizza Gran parte del suo export, il 12,5% per la precisione, vale a dire un quarto dei beni esportati nell’Unione europea. I danni più ingenti sono ovviamente a carico delle regioni settentrionali, diventate negli anni una vera e propria provincia teutonica. Specie se si guarda ad alcuni settori, come le componenti automobilistiche. Secondo una stima di Allianz, ogni milione di fatturato in meno per l’industria tedesca comporta perdite per i fornitori italiani: 150mila euro per i produttori di lamiere metalliche italiani,140mila per gli esportatori di equipaggiamenti meccanici, 100mila per gli esportatori di parti in plastica.

SENZA ANTICORPI

Il nostro Paese non ha anticorpi per reagire a tutto questo, non solo perché la crescita è già debole e compromessa, ma soprattutto perché negli anni si è deciso di puntare sempre meno sul mercato interno. Il commercio con le regioni meridionali avrebbe potuto rappresentare quanto meno un valido piano B, oggi inattuabile. Almeno nel breve periodo.

Come si fa a pensare a traffici commerciali capaci di influire sulla ripresa del Pil, se mancano le infrastrutture su cui le merci dovrebbero viaggiare? Un problema di investimenti nel Mezzogiorno, certo, che negli anni si sono ridotti al lumicino, passando dallo 0,82% del pil negli anni Settanta allo 0,15% registrato fra il 2010 e il 2015.

IL PORTO E LA TAV

Pochi soldi e spesso investiti male. Ci vorrà almeno il 2026 prima di vedere partire l’Alta velocità fra Napoli e Bari. Un’infrastruttura dall’enorme potenziale, soprattutto in termini di moltiplicatore. A fronte di 6 miliardi di investimento porterebbe 17 miliardi di pil e 18mila posti di lavoro in un arco temporale di 7 anni. Questi i calcoli di Ennio Cascetta, professore di Pianificazione dei Sistemi di Trasporto alla Federico II di Napoli e autore del volume “Perché Tav” edito da Il Sole 24 Ore.

Altro capitolo spinoso è il Porto di Gioia Tauro, Reggio Calabria, che in teoria potrebbe diventare un “ponte strategico verso il mercato africano”, come lo ha definito il ministro per il Mezzogiorno Giuseppe Provenzano. Qualche segnale positivo c’è, a partire dall’incremento dei traffici (+14,8%) registrato nella seconda metà del 2019, dopo l’ingresso di Til (società controllata di Msc) in Med Center Container Terminal. Ma il porto calabrese è ancora ben lontano da ciò che dovrebbe essere. Il rilancio passa per l’implementazione dell’omonima Zes, formalmente attiva, ma ancora allo stato embrionale. C’è poi la necessità di potenziare il nodo ferroviario di supporto allo scalo. Un’operazione che renderebbe molto più agevole l’arrivo di container da gestire sul posto o da trasportare verso l’Europa.

Le promesse di rilancio sono tante. La più dettagliata appartiene alla ministra dei Trasporti Paola De Micheli «Più della metà delle risorse dell’aggiornamento del contratto di programma da 15 miliardi e 400 milioni di Rfi sono concentrate nelle regioni del Sud, proprio perché, soprattutto attraverso il ferro, possiamo superare il gap infrastrutturale che ha caratterizzato in questi anni la differenza tra Nord e Sud e, anche, un pezzo delle ragioni della minore competitività. In particolar modo la nostra strategia sul ferro riguarda il collegamento dell’ultimo miglio sui porti che, in questo caso, per Gioia Tauro diventa strategico sia per il presente che per il futuro». Il punto è farlo in tempi brevi, o almeno più brevi del tracollo tedesco.


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