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Un autobus affollato in tempo di pandemia

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ORA che il governo vuole lasciarsi alle spalle la didattica a distanza c’è un altro tragitto da colmare. Quello che va da casa a scuola. In teoria non sarebbe complicatissimo organizzare questi spostamenti, per lo più cittadini e metropolitani, in piena sicurezza. Un autobus non è una mongolfiera che muta la propria traiettoria a seconda del vento. Sono percorsi pianificati, da capolinea a capolinea. Ed è lì che il virus colpisce. A bordo degli autobus e dei mezzi pubblici, negli ambienti stretti e saturi.

Ma riaprire tutto, e nella fattispecie riaprire le aule, vuol dire rimettere in circolazione milioni di cittadini, tra insegnanti, genitori, personale scolastico etc. etc. Da qui nasce l’esigenza di riconoscere un ristoro agli enti locali per far fronte alle nuove esigenze. Ma i soldi, come vedremo, non bastano mai. E i governatori delle Regioni bussano ormai quotidianamente a quattrini.

INDENNIZZI PER 1,8 MILIARDI

Chiedono di amplificare le aperture, ma pretendono flessibilità alla scuola. Non sono ancora pronti a sostenere l’impatto che il 26 aprile ci potrebbe essere sulle aziende del trasporto pubblico locale e regionale. Dimenticano che hanno ricevuto – grazie al decreto legge Sostegni del 21 marzo scorso – ulteriori 800 milioni di euro come integrazione delle compensazioni per i mancati ricavi dovuto alla pandemia. E non è tutto. Altri 20 milioni di euro sono stati previsti sotto forma di voucher per agevolare l’uso di taxi e servizi Ncc (Noleggio con conducente), un provvedimento a favore delle persone con mobilità ridotta ed economicamente più deboli. In totale al settore sono state irrorate risorse pari a 1,8 miliardi e sempre sotto la voce “indennizzi legati alle misure di contenimento del Covid”. Il lockdown e il coprifuoco, con una parziale riduzione delle corse, hanno indubbiamente abbattuto alcuni costi. Liberato personale, limitato il traffico nelle grandi aree urbane. Ma ora che la riapertura richiederebbe un aumento significativo dell’offerta, sono poche le Regioni che si sono fatte trovare pronte.

In compenso il presidente della Conferenza Stato-Regioni, Massimiliano Fedriga, è tornato alla carica suonando la stessa musica. Un refrain che gli inquilini di Palazzo Chigi, prima Giuseppe Conte, ora Mario Draghi, conoscono bene. Ogni giorno nel nostro Paese si muovono nel tragitto scuola-lavoro, e non solo, circa 25 milioni di persone. Il trasporto pubblico locale (Tpl) è un nodo strategico per qualsiasi Paese . Il diritto alla mobilità è di competenza dello Stato, viene misurato sulla base dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni), ha un costo annuo di circa 4,5 miliardi di euro contro un costo totale di 8 miliardi.

In teoria le aziende locali dovrebbero recuperare il 35% dei costi dalla vendita di abbonamenti e biglietti, ma solo in teoria. Nella realtà, quando la forbice si allarga, interviene il Fondo nazionale per il Tpl. Poi ci sono i finanziamenti stanziati per rinnovare la flotta. Ad esempio, nel gennaio dello scorso anno, alle Regioni sono andati 2,2 miliardi di euro per l’acquisto di autobus ecologici con l’obiettivo di sostituire i mezzi più inquinanti con autobus a metano elettrici o a idrogeno. Di questi, 400 milioni sono andati alle città, il 35% al Sud, come prevedeva il Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile.

IL BLITZ DEI NAS

Il 6 aprile scorso i Nas hanno divulgato i risultati dei controlli anti-Covid sui mezzo del trasporto pubblico locale. Controlli a campione che risparmiarono alcune regioni e alcune grandi città. Controlli dimostrativi. Ebbene, sui 693 veicoli adibiti al servizio pubblico ben 65, una cifra di poco inferiore al 10%, evidenziarono irregolarità connesse alla mancata osservanza delle misure di prevenzione al contagio da Covid 19. Mancata esecuzione delle operazioni di pulizia e sanificazione, omessa cartellonistica di informazione agli utenti circa le norme di comportamento e il numero massimo di passeggeri ammessi a bordo, assenza di distanziamento tra i sedili e mancato funzionamento degli erogatori di gel. Fin qui i Nas. E non osiamo immaginare quale sarebbe stato l’esito del blitz se i controlli fossero stati a tappeto e non solo a scopo dimostrativo.

AUTOBUS STRAPIENI E COMPENSAZIONI

Lo scorso autunno, alla vigilia della seconda ondata, dopo un’estate di spiagge affollate, rave in riva al mare ma controlli zero, i governatori di quella che a tutti gli effetti è ormai la terza Camera dello Stato fecero viaggiare gli italiani ammassati sugli autobus. Come al solito, come sempre. Salvo poi dichiarare che il tetto dell’80% della capienza era stato rispettato e incassare il restante 20% in compensazione.

Qualcuno ha notato qualche controllo particolare alle fermate? Personale in divisa a verificare che gli studenti non salissero tutti insieme sullo stesso bus e si viaggiasse stretti come sardine? Gel, mezzi disinfettati, obliteratrici più igienizzate del solito? E non basta. C’è il retroscena. Le Regioni del Nord hanno fatto il diavolo a quattro perché lo Stato rifinanziasse i cosiddetti servizi aggiuntivi, ovvero le navette da affiancare al servizio già esistente di scuola bus. Si dà il caso che “aggiuntivi” stia a significare più servizio pubblico, aumento della capacità di trasporto. Un problema, quello di aggiungere, che al Mezzogiorno non si pone perché i bus-navetta in alcune zone sono come gli Ufo: oggetti non meglio identificati. E non bisogna conoscere la matematica dei rami per sapere che zero più zero per il Sud farà sempre zero.


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