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Dai simposi della Grecia antica alle chat dei nostri giorni, le parole e le riflessioni che hanno attraversato i salotti culturali dove per secoli sono passate le tendenze e i pensieri del mondo


Le chiacchiere, i pensieri, i pettegolezzi, gli ammiccamenti: tutto da vicino, in presenza, in un clima elegante (almeno quella era l’ambizione), con anche il privilegio di essere una cosa per pochi, esclusiva. I salotti culturali-mondani hanno fatto la storia, prima delle chat, più delle chat. La distanza che oggi separa gli incontri telematici in video chat dagli storici (e reali) faccia a faccia nei salotti culturali, in un ipotetico albero genealogico fa apparire l’uno erede dell’altro. Alle belle dimore della socialità condivisa, in tempi moderni si sono succedute le camere virtuali delle chat (“chiacchierata” dall’inglese to chat “chiacchierare”, “conversare”) a portata di click. In mezzo, ci sono pure i caffè letterari, cugini dei primi. In comune: essere terreno fertile di incontro e scontro sui più svariati temi.
Del resto, le chiacchiere da salotto, che poi in alcuni casi tanto chiacchiere non erano (e non sono), nel corso del tempo hanno incrociato la Storia, modificato usi e costumi, immortalato persone e personaggi. Certuni noti, altri meno.

Nella plurisecolare vita dei salotti culturali non sono mancati quelli che hanno strizzato l’occhio alla politica, al potere, all’arte, ai grandi temi del pensiero, ai mutamenti sociali, agli amori, agli scandali, alla mondanità che conta e in certi casi decide. Fatti, leggende e sorprese su un rotolo di pergamena legato dal nastrino di seta dell’arte del ricevere. Trame e trappole comprese, a braccetto con pubbliche relazioni, amicizie, inimicizie, patti e schieramenti.
Così, ad esempio, quando si pronuncia il nome di Madame de Staël, si plana sulle sponde del lago Lemano o di Ginevra, dove la scrittrice francese di origini svizzere modellava con i suoi selezionati ospiti il pensiero dell’Europa moderna. Il suo Cenacolo di Coppet si trovava nella villa in cui la Staël ospitò un salotto culturale di fervente dibattito indipendente e liberale. Lord Byron, A. von Humboldt, Fichte, i fratelli Schlegel, François-René de Chateaubriand e Vincenzo Monti? È probabile che siano passati tutti da lì. Lo si ricorda come uno dei luoghi d’incubazione della Rivoluzione in Francia. Madame de Staël, però, è solo uno dei nomi femminili nell’albo d’oro di questa storia dove le donne, le salonnièries (salottiere) per dirla alla francese, sono state spesso regine per dirla all’italiana.

TUTTO PARTE DAI SIMPOSI DELL’ANTICA GRECIA

In cima all’albero genealogico c’è il symposion: la tradizione di riunire una comunità di amanti della cultura in un unico ambiente nasce nell’antica Grecia. Bastava una tavola imbandita intorno alla quale si declamavano versi e si svolgevano discussioni di carattere artistico, letterario, filosofico e politico per coniugare anima e corpo. Il pensiero volava alto, il palato era soddisfatto, il suono della cetra faceva da colonna sonora. La consuetudine venne poi acquisita dai romani, con Gaio Cilnio Mecenate che, nell’epoca augustea, incoraggiò e sostenne poeti come Virgilio, Orazio e Properzio fino a far diventare la sua figura un emblema di protettore e di patrono illuminato.
Agli incontri di tal fatta non si rinuncia neanche nei secoli a venire. I nobili si intrattenevano e venivano intrattenuti in castelli e ville che quando erano di proprietà di un mecenate venivano chiamati spesso horti. Non facevano eccezione i monasteri come quello di Camaldoli, o dimore di certo fascino e rango. Basta chiudere gli occhi e si possono immaginare sorpresi a conversare i Medici, Cristoforo Landino, Marsilio Ficino e Leon Battista Alberti.
Bisogna spingersi più in là per trovare uno dei salotti culturali letterarii che più somiglia ai dettami dell’epoca moderna, (una chat?). La Francia fa la sua parte. La marchesa Catherine de Vivonne de Rambouillet nel Seicento apre il primo celebre salotto letterario parigino nella sua residenza dell’Hôtel de Rambouillet.
A partire da quel modello che mescolava idee, socialità e politica, fu tutto un fiorire di cenacoli illuminati e illuministici. Dal salotto di Madame Geoffrin che tra gli ospiti aveva Diderot, Marivaux, Grimm, Helvétius a quello del barone d’Holbach, primo direttore dell’albergo della filosofia. Duchesse, marchesi, contesse presero sempre più il sopravvento. E il salotto culturale divenne il regno delle donne anfitrione, pur non mancando gli esempi di illuminati padroni di casa.

SALOTTI CULTURALI, I RITROVI ANCHE IN ITALIA

E in Italia? La consuetudine del salon francese attecchisce anche nel Bel Paese. Resta negli annali l’Accademia dei Pugni il salotto di casa del conte Pietro Verri, in contrada del Monte di Santa Teresa, oggi via Montenapoleone. Il salotto, con la stufa bianca immortalato in un quadro di Antonio Perego, ospitava discussioni così accese da meritare l’appellativo di Accademia dei Pugni.
Nella “cameretta” di Carlo Porta si ritrovavano Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Giovanni Berchet ma anche Ermes Visconti, teorico del Romanticismo. “Far cameretta” in milanese voleva dire “far crocchio”, “riunirsi a parlare”.
A spulciare la Storia e le storie delle città italiane, il grande puzzle si arricchisce e s’incastra sempre più negli scenari politici.
L’Italia dei salotti era tutta un fermento di idee. A Milano passa alla Storia il salotto Maffei. Siamo nel 1834 e in via Tre Monasteri alcuni intellettuali, tra cui Massimo d’Azeglio, frequentano la casa di Clara e Andrea Maffei. Artisti, letterati, compositori e patrioti del Risorgimento trascorrono in quella casa memorabili serate a discutere di arte e di letteratura. La lista dei frequentatori del salotto è composta dal pittore Francesco Hayez, da Honoré de Balzac, Alessandro Manzoni, Franz Liszt, Giuseppe Verdi e Giovanni Prati, per citarne alcuni. Arte e non solo. In una Milano, insofferente agli austriaci, la casa di Clara tra il 1850 e il 1859 divenne “cenacolo di ardenti patrioti tenaci assertori della indipendenza e della unità d’Italia”, si legge nella targa commemorativa di via Biglia.
A Firenze poi non c’era solo il salotto in casa Fantastici di Fortunata Sulgher frequentato da Alfieri, Monti e Staël, ma anche quello di Fanny Targioni Tozzetti in via Ghibellina. La nobildonna apriva spesso la sua casa ad artisti e letterati. Tra questi Giacomo Leopardi, che tornato a Firenze nel 1830 aveva cominciato a frequentare il salotto della bella e colta Fanny che però gli preferì l’amico Antonio Ranieri: patriota, scrittore e politico.
A Napoli un posto a sé lo occupa il salotto letterario e musicale di Aurora Sanseverino al Palazzo Gaetani dell’Aquila d’Aragona. La nobildonna, poetessa e mecenate italiana è ricordata tra “i più importanti salottieri e committenti del Regno di Napoli”. Altro famoso convivio partenopeo fu quello di Ippolita Cantelmo Stuart (donna Popa) ospitato nelle stanze di Palazzo Carafa di Roccella.
Risalendo la penisola fino a Venezia nel Sestiere di San Marco, in corte Contarina, a San Moisè, si trovava il salotto letterario di Giustina Renier Michiel: nipote del penultimo doge di Venezia Paolo Renier (nonno paterno) e dell’ultimo doge Ludovico Manin (zio da parte di madre) .
C’è chi ricorda come Giustina fosse diventata famosa anche per l’ardente amor patrio tanto che nel 1806 Napoleone, arrivato in laguna, volle conoscerla. L’incontro, neanche a dirlo, avviene nel salotto della scrittrice, amante delle arti e delle scienze. “In cosa siete famosa Signora?” chiede Napoleone. E lei: “Nell’amicizia”. Fin qui niente di male, ma quando la dama veneziana candidamente fa capire di preferire Shakesperare – di cui fu la prima traduttrice in italiano – a Racine, Bonaparte si offende. Sbatte la porta e se ne va. L’impavida Renier non le mandò a dire neanche al conte Chateaubriand, che definiva Venezia “una città contro natura”. Lei all’insulto rispose: “Non è contro natura, è sopra la natura”.
Salotto che vai, storia che trovi.

I RECENTI SALOTTI CULTURALI A ROMA

Il gioco potrebbe continuare di campanile in campanile. Manca Roma? Niente affatto. La Capitale non solo ha ospitato salotti storici come quella di Tullia d’Aragona o della regina Cristina di Svezia ma ha dettato tendenze e leggende anche in tempi recenti.
Le cronache mondane (e non solo), i libri dedicati raccontano i salotti romani frequentati da politici, artisti, intellettuali, banchieri e intercettano diversi nomi. A cominciare da quello di Maria Angiolillo scomparsa nel 2009. Lei, nata Maria Girani coniugata Angiolillo collezionista d’arte, moglie di Renato Angiolillo, fondatore de Il Tempo e senatore del Partito liberale, è ricordata come la regina dei salotti romani. Il suo “Villino Giulia” affacciato su Trinità dei Monti, è stato un luogo di ritrovo per personaggi dello spettacolo, della cultura, del giornalismo ma anche di esponenti della prima e della seconda Repubblica, tanto da meritarsi l’appellativo di “quarta Camera”. Nel 2015, Bruno Vespa e Candida Morvillo ne ricostruiscono la storia nel libro edito da Rizzoli dal titolo “La signora dei segreti”. Sottotitolo: “Il romanzo di Maria Angiolillo. Amore e potere nell’ultimo salotto d’Italia”.
Nel suo attico nel centro di Roma riuniva politici e intellettuali anche la marchesa Sandra Verusio, altra protagonista dei salotti romani più vicini alla sinistra.
E poi l’effervescente Marina Lante della Rovere protagonista altresì nei salotti televisivi o Marta Marzotto. Anche per quest’ultima è stato usato l’appellativo di regina o dama dei salotti. Nel suo caso, milanesi e romani. Nata Vacondio e diventata contessa Marzotto, Marta amava circondarsi di personalità come Alberto Moravia, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sciascia, Sandro Penna, Alberto Arbasino. In un salotto frequentato dall’élite romana, conosce il pittore Renato Guttuso. Il resto è noto. Tra le regine dei salotti italiani non manca il nome di Sandra Carraro o quello di Marisela Federici. E non son tutte.
Di città in città, di regina in regina, di epoca in epoca cambiano protagonisti, modalità e temi al centro degli incontri mondani.

Vien da chiedersi: era meglio prima quando gli elitari salotti culturali reali avevano la meglio o oggi dove il primato è rosicato dalla socialità e dal confronto più a portata di mano e di pensiero praticata in Rete e quindi in chat? Inevitabile il cambiamento, aperta la risposta.
Certo nell’incontro telematico la grande assente è la fisicità. Mancano certi sguardi d’intesa o disapprovazione tra i convenuti, certi gesti che parlano più delle parole, un accavallar di gambe, un abbraccio, un’alzata di sopracciglio, un sorriso malandrino, l’odore dei luoghi, le luci e le ombre delle stanze prescelte, un profumo messo apposta. Nella bolla delle chat, la fisognomica, dal greco physis (natura) e gnosis (conoscenza), se non è assente è carente, contrariamente agli scenografici incontri privati tra gli invitati dei salotti culturali, curati nei minimi dettagli dall’anfitrione di turno che mettendo in pratica la sottile arte del ricevere seleziona, ospita e intrattiene i convitati e ha la responsabilità massima della riuscita dell’incontro.
E se ad alcuni è parso di udire il canto del cigno dell’epoca dei salotti vis-à-vis, chissà che per la legge dei corsi e ricorsi storici, la stagione dei cenacoli privati che facevano un gran rumore o conquistavano le copertine delle cronache mondane e non solo, non torni a prendersi la scena. Con buona pace della sempre maggiore diffusione di piattaforme digitali come ad esempio, quelle dedicate alla lettura condivisa di libri con tanto di discussioni, citazioni e recensioni.
Gli anfitrioni del presente e del futuro sono avvisati! Tra una conversazione e l’altra, il giro che conta nei salotti culturali reali o virtuali delle chat continua.


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