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A. J. Cronin

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La vita di ogni persona è fatta di prima e dopo. Di momenti, del tutto imprevisti, che la cambiano per sempre. Capita quando si perde una persona cara, un genitore, un compagno, un figlio; quando si commette uno sbaglio irreparabile; quando si compie una scelta molto drastica, oppure la si subisce; quando si accetta una sfida davvero decisiva…

Sono momenti di vuoto, di vertigine. Cesure, che si realizzano con il tempo, partendo da due punti fermi: la vita va sempre avanti e ciò che vi accade è sempre molto diverso da ciò che avevamo immaginato. I momenti che cambiano per sempre un’esistenza si contano sulla punta delle dita, ma a posteriori, succede di dare a uno di essi in particolare un peso maggiore degli altri: è questione di prospettiva. C’è anche un’altra riflessione da fare: vivere il momento che cambia per sempre la nostra esistenza, può aprirci a una fase di dolore profondo, o talvolta di gioia immensa. Sicuramente, dopo non saremo più gli stessi di prima.

Nella vita di Archibald Joseph Cronin, uno di quei momenti, anzi senz’altro quel momento – nella prospettiva di questo racconto – è quando smette di fare il medico e incomincia a fare lo scrittore. È il 1931, ha 35 anni. E così accade che passa i restanti cinquant’anni della sua esistenza a pubblicare romanzi – oltre una trentina di titoli – diventando uno degli autori più prolifici del secolo scorso. Il suo successo in Italia è dei primi anni Settanta, quando dai suoi libri vengono tratte serie televisive e film per la tv, che lo rendono popolarissimo.

Cronin era nato in Scozia, nel 1896. Suo padre era cattolico, di origini irlandesi, figlio di mercanti di occhiali e vasellame, e faceva l’agente di assicurazioni. Sua madre, protestante, veniva da una famiglia di cappellai. A otto anni aveva perso il padre, da tempo malato di tubercolosi. Fu uno studente modello, e a soli 18 anni, vinse una borsa di studio in medicina all’università di Glasgow. Come avrebbe confessato tempo dopo, chi eccelleva negli studi all’epoca non aveva molte alternative: “o la medicina o la religione. Io ho scelto il male minore”, disse.

Durante la Prima guerra mondiale, aveva deciso di sospendere gli studi per servire la Marina militare britannica come chirurgo-sottotenente. Nel 1919 si era laureato con lode: fu l’inizio di una brillante carriera come medico, costellata di encomi e riconoscimenti in campi molto distanti tra loro, dalla ginecologia alla psicologia.

Aveva fatto pratica in diversi ospedali: in Scozia, ma anche a Dublino e a Tredegar, una piccola cittadina mineraria nel sud del Galles, in cui era diventato medico ispettore delle miniere. Al lavoro in un contesto sociale molto delicato – siamo intorno alla metà degli anni Venti – a contatto con le classi più povere, più sfruttate e meno consapevoli della possibilità e della necessità di tutelare certi diritti; a fare i conti con alcune malattie più di altre. In quel periodo, infatti, pubblicò alcuni studi sui rischi professionali derivanti dall’attività estrattiva, e in particolare sulla correlazione tra l’inalazione di polvere di carbone e il manifestarsi di disturbi polmonari.

Poi era passato a indagare scientificamente la storia dell’aneurisma, e aveva deciso di trasferirsi con la famiglia – sua moglie, conosciuta ai tempi dell’università alla facoltà di medicina di Glasgow, e il loro primo figlio – ne sarebbero arrivati altri due – a Londra, dove aveva aperto uno studio nel quartiere di Notting Hill, in un contesto sociale decisamente diverso da quello minerario di Tredegar, passando questa volta ad approfondire l’oftalmologia.

A 35 anni, Cronin ha una conoscenza medica molto solida e molto variegata, rafforzata da un’esperienza sul campo altrettanto solida e altrettanto variegata, per tipologia di disturbi di cui ha potuto occuparsi e di pazienti con cui è venuto a contatto. Ma succede l’imprevisto – nella prospettiva di questa narrazione – il momento che cambia la sua esistenza. Una malattia: un’ulcera duodenale cronica, piuttosto grave, considerata la giovane età del medico passato a vestire i panni dell’ammalato, lo costringe a sei mesi di riposo assoluto. Decide di trascorrerli, famiglia al seguito, in un luogo incantato sulla costa scozzese, a Loch Fyne, e di sospendere temporaneamente la professione.

Tra l’agosto e l’ottobre del 1930 scrive il suo primo romanzo: Il castello del cappellaio. Il libro viene immediatamente pubblicato dalla case editrice Gollancz, a cui la moglie lo aveva spedito un po’ per caso e senza grandi aspettative. Il successo è immediato. Cronin non tornerà più a fare il medico, e inizierà una altrettanto brillante e più longeva carriera di scrittore. Prima e dopo la malattia che gli cambia per sempre la vita, togliendogli dalle mani lo stetoscopio e sostituendolo con una penna.

Quando capita l’imprevisto, nello stomaco si apre una voragine. Sembra tutto finito. E in effetti, qualcosa finisce, ma qualcosa di nuovo comincia. Quando i conti sono regolati, quando ci si fa una ragione delle cose, partendo da due punti fermi: indietro non si torna e molto spesso è inutile impantanarsi nel tentare di comprendere la ragione di ciò che è accaduto, perché ragione non c’è, o comunque non cambierebbe il corso degli eventi, non resta che guardare avanti scoprendo un’occasione mai immaginata prima.

Cronin scrive del suo tempo, mettendo un po’ di se stesso, della sua vita e di quello che è stato prima, nei romanzi che sono venuti dopo. C’è la Scozia e il dolore per la perdita del padre in Anni Verdi (1944); c’è l’esperienza di medico in una valle industriale del Galles del sud in La cittadella (1937); c’è la conoscenza diretta dello stato di cliniche e ospedali all’epoca, dei servizi offerti ai pazienti, delle condizioni di lavoro di medici e infermieri – anzi infermiere, visto che erano per lo più le donne ad accostarsi a quella professione in quegli anni – in Angeli della notte (1940) e in Caleidoscopio (1978); ci sono le lotte portate avanti dai minatori per ottenere migliori condizioni di lavoro nel suo libro più conosciuto: E le stelle stanno a guardare (1935). Realismo misto a critica sociale, con uno stile narrativo in cui l’azione predomina nettamente sull’introspezione.

Cronin ha continuato a scrivere libri fino all’età di ottant’anni. Alcune delle sue opere, mettendo in luce le disparità, le ingiustizie, le mancanze e l’incompetenza dell’assistenza medica dell’epoca, hanno contribuito all’istituzione del Sistema sanitario nazionale del Regno Unito.



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