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Lo chef procidano Gabriele Muro

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I suoi luoghi del cuore sono la spiaggia della Chiaia, dove da piccolo si fermava a rimirare il Vesuvio, Napoli e perfino Capri. Ma anche il porto di Marina di Corricella, un luogo iconico di Procida, magico per il tempo che sembra essersi fermato, e dall’atmosfera quasi irreale, con tutte quelle piccole case variopinte e le frotte di pescatori che, al crepuscolo, si riuniscono laboriose a cucire le reti.

È  Gabriele Muro, classe ’83 e chef procidano di stanza a Roma al ristorante Adelaide al Vilòn, l’hotel 5 stelle lusso ospitato in un’ala di Palazzo Borghese e frequentato anche da Meghan Markle e dal principe Harry, a condividere i posti a lui più cari dell’isola nominata Capitale Italiana della Cultura 2022.

Un titolo che ha spinto Muro a dedicarle un percorso culinario ad hoc. L’obiettivo è traghettare i suoi ospiti in quel fazzoletto di terra in mezzo al mare del Golfo di Napoli, attraverso i sapori e i profumi della sua cucina.

“Sono stato così felice ed emozionato per la mia piccola  Procida, quando  si è aggiudicata la proclamazione con il progetto vincente intitolato “La cultura non isola”, che ho deciso di renderle omaggio con il  menu degustazione “Travolti da un insolito menu nell’azzurro mare di Procida”.

Lo trovate da Adelaide tutti i giorni, sia a pranzo che a cena”, spiega Muro. Le portate proposte agli avventori del ristorante di charme in via dell’Arancio 69  sono cinque: ‘O pesce fujuto, La Colazione del Pescatore, La Cicarella Nuda, Lo Scorfano scherza in quell’acqua, L’Oro di Procida. 

‘O pesce fujuto

L’antipasto, ‘O pesce fujuto, è quel sughetto di pomodoro con gli aromi tipici della base per un piatto di pesce che un tempo preparavano le donne in attesa del ritorno dei mariti pescatori. Spesso, però, il pesce non arrivava fino a casa, perché veniva venduto tutto, per racimolare qualche soldo. Così, il sughetto si mangiava solo col pane raffermo.

Ma tutti i piatti del menu sono della tradizione: appartengono a una cucina povera marinara, rivista con gli occhi di chi ha viaggiato. Protagonisti delle portate sono i prodotti isolani e i colori che a Muro ricordano l’infanzia trascorsa sull’isola: “Ci sono l’arancio della marmellata di agrumi che faceva zia Salette; il rosso delle conserve di pomodoro della dispensa; il giallo delle ginestre in fiore a primavera. Ma a rubare la scena è sempre l’azzurro intenso del nostro mare”, racconta lo chef che, nella sua cucina, fa rivivere le sue memorie più care.

Il primo piatto Muro lo ha imparato nella sua tenera età: “Si tratta delle  zeppolell e alle alghe, che talvolta ripropongo anche solo come piccolo appetizer scherzoso”, confida.

Oggi da Adelaide (premiato con 2 forchette e per il miglior servizio di sala di ristorante d’hotel dalla guida del Gambero rosso) lo chef sposa una filosofia culinaria immediata e colta al tempo stesso, con un solido bagaglio tecnico che si concretizza nelle cotture leggere di materie prime reperite solo da piccoli produttori di qualità.

Si tratta di un “fine dining”  sincero, ricco di sapore e frutto di una grande ricerca sul prodotto, spesso ittico ma non solo. Le radici isolane sono valorizzate con leggerezza ed estro equilibrato, così la sua cucina si mostra come un mix di tradizione e contemporaneità nel segno di una gioiosità tutta mediterranea. La stessa del carattere solare di Muro, felice proprio come la sua isola, che  ha fatto suonare all’unisono tutte le campane del paese e le sirene dei traghetti alla notizia della sua nomina a Capitale della Cultura.


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