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Illustrazione di Roberto Melis

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Tom dice di “non aver mai assaggiato una fragola” e anche di “non aver mai bevuto un caffè”. Solo acqua: 37 bicchieri al giorno. Forse per questo si è trasferito, dopo venti anni e sei Superbowl vinti (è il massimo del massimo degli sport negli Stati Uniti, il football americano, ed è anche il massimo degli spettacoli televisti negli States: uno spot “durante” costa milioni di dollari), nella città di Tampa Bay, in Florida. Sole, spiaggia e acqua del rubinetto buona da bere: ha vinto la sua settima meraviglia, una collana che nel suo campo, quello dello sport appunto, fa l’invidia delle sette meraviglie del mondo antico, che sono la Piramide di Cheope, i Giardini di Babilonia, il Tempio di Artemide a Efeso, la statua di Zeus a Olimpia, il Colosso di Rodi, il Faro di Alessandria e il Mausoleo di Alicarnasso, Di queste resiste solo la prima, da più di 4.600 anni.

Le sette meraviglie di Tom Brady sono tutte del Terzo Millennio, la settima a 43 anni, nell’inverno del 2021. Non s’è perso nei suoi bicchieri d’acqua, Tom. Li ha accompagnati con una dieta che i buonisti giudicano almeno “stravagante”, i più “insensata”: zucchero bianco? Neppure un granello, e neppure di farina bianca; mai olio d’oliva cotto, neppure extravergine, al massimo una goccia crudo: per cuocere, olio di cocco; il sale?

Soltanto quello rosa dell’Himalaya, quello iodato non sa cosa sia e neppure che sapore abbiano cose come pomodori, funghi, peperoni (che, si sa, “si ripropongono”), melanzane, men che meno alla parmigiana, “vade retro latticino”; la frutta la mangiano i bambini: se proprio devo, frullatemi una banana. Un giornalista della Cbs, di quelli che lavorano “sul campo”, pare che abbia provato la dieta di Tom in diretta: “Sono ingrassato un chilo e ho avuto problemi di meteorismo” ha confessato.

Tom non ha mai ammesso di questi disturbi e neppure sua moglie, la bellissima modella brasiliana Gisèle Bundchen, per anni al top anche fra quelle chiamate “Victoria’s Angels” che sfilavano per l’intimo di Victoria’s Secret, nessuna tentazione di “body shaming” ma tutte le altre sì: “Posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni”, come diceva Oscar Wilde.

Una dieta così ti può portare dritto filato sul sofà dello psicanalista. Ma non Tom, che aveva chiuso la “pratica Freud” da ragazzo, quando non sfondava nello sport, e in città, San Mateo, California, baia di San Francisco, una quindicina di chilometri più a sud, era conosciuto più come il fratellino di Nancy, Julie e Maureen che, softball o calcio, erano piccole celebrità sportive. Tom, che era pazzo per il football e il ruolo di quarterback, pure se si applicava nello studio di schemi di gioco e passava il suo tempo a rimirare quasi ossessivamente gli highlights dei campioni, non sembrava uno di quegli adolescenti che la competenza definisce “predestinati”, e poi tante volte il destino ci mette la zampa contraria e si perdono.

A distanza di anni si può dire che la psicanalisi o il mental coach fecero un buon effetto. Più che buono: straordinario. Tanto che Tom Brady dopo la settima meraviglia, è risultato, per la maggioranza di un instant poll condotta per tutti gli Stati Uniti, “the Goat”, che nel caso non vuol dire “capra” come nel vocabolario quotidiano, ma è l’acronimo di “Greatest of All Times”, il più grande di tutti i tempi, più di Michael Jordan, secondo, o di LeBron James, terzo. L’instant poll ha il difetto di essere un po’ troppo istantaneo e dunque figlio del suo tempo e smemorato: sennò come dimenticare, ad esempio, Mohammed Alì, per non dirne che uno?

Il ragazzo Tom non sembrava, ai tempi, poterci arrivare mai. Anche a scuola era la riserva delle riserve. Lo fu fino al cambio del millennio, al draft dell’anno 2000, quando le squadre scelgono gli atleti da tesserare per la nuova stagione. Gli osservatori avevano stilato un report lusinghiero a metà, o anche meno: “Sveglio, intelligente, con caratteristiche da leader, calmo e misurato in ogni situazione”, ma anche “magro e smilzo da sembrare un grissino, senza presenza né forza fisica, con scarsa mobilità e deficit di improvvisazione”.

Passarono così un paio di giorni nella stanza d’albergo, cinque giri, cinque quarterbacks selezionati prima, 198 giocatori ingaggiati, di molti dei quali si sarebbero poi perso le tracce, e la scelta 199 del draft al sesto giro fu quella dei New England Patriots, la squadra di Boston, che fecero il nome di Tom Brady. Non fosse andato dalla psicanalista prima, la situazione ce lo avrebbe portato in quel momento. I Patriots non avevano mai vinto il SuperBowl. Con Tom, che all’inizio era il quarto quarterback nella squadra in ordine di preferenza, ne avrebbero vinti sei: il numero 199 portò fortuna, Brady ne ha fatto un brand di produzione di audiovisivi.

Tom era molto sicuro di sé: raccontano che al momento della presentazione a Robert Kraft, il figlio di un sarto che lavorava nel quartiere cinese di Boston, cresciuto fino ad essere un miliardario di tipica storia americana, self-made man, proprietario della franchigia, Tom abbia allungato la mano e detto con semplicità “questa è la miglior decisione che abbia mai preso”. Se fosse la migliore chissà, certamente fu ottima.

Il 23 settembre 2001 il quarterback titolare, Bledsoe, durante una partita contro i New York Jets, subì un colpo che gli provocò un’emorragia interna. Dovettero sostituirlo. Brady ne prese il posto: non lo avrebbe più lasciato. Nella stagione e anche dopo. Fu sua l’ultima giocata che dette ai Patriots la vittoria nel SuperBowl contro i St Louis Rams, anno 2002. La prima delle sei che Patriots e Tom hanno vinto fino al 2021.

Anno nel quale Brady ha vinto il suo settimo con i Buccaneers di Tampa Bay, ai quali era nel frattempo passato. In Florida a godersi la vecchiaia come i pensionati, dicevano. Ha giocato con e contro ragazzi che quando lui vinceva il suo primo SuperBowl neppure erano nati; il suo dirimpettaio quarterback, Patrick Mahomes dei Kansas City Chiefs, mentre Brady che è del 1977 già diveniva l’MVP del SuperBowl, andava in prima elementare (è del 1995).

Per festeggiare il settimo sigillo, Tom ha fatto uno strappo alla regola: astemio come ovviamente è, ha brindato e si è ubriacato. Gli è bastata una goccia di whisky. O forse di più, ma non 37 bicchieri.


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