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Uno scorcio del quartiere Carrassi a Bari

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BARI – Non si sentiva al sicuro in una cella del carcere di Nuoro, perché in certi casi nemmeno le sbarre ti possono salvare la vita. E, se un vero boss tiene duro dinanzi alle condanne, le mette in conto, inizia a cambiare  prospettiva se in gioco c’è la vita. Aveva paura Vincenzo Anemolo, 56 anni e una storia criminale da capoclan, un quartiere da controllare assieme a suo fratello Nicola e oltre 20 anni passati in cella per omicidio, traffico di droga, sequestro di persona e traffico di armi. Il boss che negli anni Novanta ha fatto parte del gotha mafioso in terra di Bari, da metà agosto sta collaborando con la giustizia. Tramite il suo legale, l’avvocato Fabrizio Caniglia, ha manifestato la volontà di pentirsi, lasciando il carcere sardo e portando con sé in località protetta anche i suoi familiari.

Nel frattempo avrebbe già cominciato a raccontare ai pm Domenico Minardi e Federico Perrone Capano una piccola parte del suo “bagaglio” di fatti, nomi e persone con cui ha tracciato la sua vita: i business sporchi, gli omicidi, le estorsioni, le minacce ai commercianti, il controllo dello spaccio di droga e delle “macchinette”, ma anche gli accordi e le spartizioni, il riciclaggio del denaro e la vicinanza ad altri ambienti della società barese.

Anemolo era in carcere dal gennaio 2020 nell’ambito del procedimento sulla gestione mafiosa delle videolottery (e già condannato per questo a 6 anni di reclusione in primo grado) e poi dal marzo scorso era stato raggiunto da un’altra misura cautelare per l’omicidio dell’ex sodale Fabiano Andolfi, del quale è ritenuto il mandante. Nell’ambito di questo processo ha chiesto il rito abbreviato ed è in attesa che sia fissata l’udienza. Ma potrebbe essere proprio l’omicidio di Andolfi e il successivo pentimento dell’autore materiale, Filippo Cucumazzo (uomo di fiducia di Anemolo) ad aver innescato nel boss l’idea di «cambiare barricata». Andolfi fu ucciso, infatti, perché aveva deciso di sottrarsi all’egemonia di Anemolo e allearsi con il clan Capriati per la gestione della droga nel quartiere Carrassi, feudo egemone degli Anemolo.  

«Se non ammazzi, non sei boss – intercettavano i carabinieri del comando provinciale che hanno indagato sull’omicidio Andolfi – Quella è una guerra, è la legge della malavita». E poi: «Quello con una carta si è giocato tutto Carrassi, purtroppo avrà spinto, se non ammazzi una persona non sei boss, allora da lunedì è diventato boss, che devi uccidere uno pesante e diventi boss, solo così le persone hanno paura di te, perché tu con la pistola addosso, si prendono paura». E ancora: «Per essere un boss, devi uccidere un altro boss, quella è la legge della malavita, ma non da mò, da sempre».

Equilibri che si fratturano, da un momento all’altro, e le alleanze che si modificano a seconda delle leggi del business. Lontano da Bari, nel supercarcere di Nuoro, Vincenzo Anemolo non si è più sentito sicuro, come a Bari, dove girava spalleggiato dai fratelli, oltre che dagli «uomini fondina» armati per suo conto. Nella stessa casa circondariale, sono detenuti altri baresi appartenenti a clan importanti, egemoni in diversi quartieri cittadini, in alcuni periodi alleati negli stessi affari. Anemolo ha dovuto scegliere la «squadra Stato», cominciando una collaborazione importantissima per la ricostruzione della storia mafiosa negli ultimi 30 anni. Lui che mandava i suoi «spaccaossa» a piegare i commercianti che non pagavano il pizzo, ha molto da raccontare.

Come aveva fatto alcuni anni fa un altro importante esponente del panorama criminale barese, Antonio Di Cosola, boss del rione Carbonara, pentitosi nel 2015 e morto tre anni dopo per un infarto. «Il capo assoluto del quartiere Carrassi», come scrivono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bari, era pericoloso in libertà, potrebbe esserlo ancora di più ora che riempirà pagine e pagine di verbali di interrogatorio. Racconterà gli approvvigionamenti di droga dal quartiere Japigia, l’imposizione del pizzo sui negozi, le rapine violente e i rapporti con gli altri clan. Racconterà dell’eterno conflitto con i Diomede, le sparatorie, gli omicidi, i posti lasciati vuoti dagli arresti e da occupare, con forza, per portare soldi all’impero del clan.

Racconterà del quartiere e delle strade diventate feudo assoluto, dei commercianti che hanno dovuto chiudere e di un presente che, oggi, fa paura a molti. Almeno quanto ne ha fatta a lui.

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