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Mario Esposito

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ISOLA CAPO RIZZUTO (KR) – Si era “defilato”. Ma, un tempo, «di giorno faceva l’imprenditore e la sera andava a sparare». Magari con parrucca e barba finta. Da azionista della cosca Arena a “imprenditore-‘ndranghetista” che faceva affari anche fuori dalla Calabria, in Toscana, e perfino con i Casamonica.

La gip distrettuale di Catanzaro Arianna Roccia ha escluso l’aggravante mafiosa nell’ambito dell’inchiesta che avrebbe fatto luce su un articolato sistema di frode fiscale escogitato da Mario Esposito, già sorvegliato speciale, e Lorenzo Marrelli, amministratore dell’omonimo gruppo della sanità privata, perché non ci sarebbe prova che il primo versasse gli introiti nella bacinella del clan. Ma i pm Antimafia ritengono che Esposito abbia mantenuto rapporti con la cosca, anche se avrebbe curato i propri affari in maniera tendenzialmente autonoma.

Dalle indagini che hanno portato all’operazione “Krimata” è emerso che Esposito avrebbe trasferito in Toscana i suoi interessi, intraprendendo attività, specie nel settore edile, comunque funzionali alla commissione di reati, ma è anche titolare di fatto di un noto bar sul lungomare di Crotone, il “Florida”, intestato alla moglie e ai figli. Se fosse o meno un referente del clan Arena lo accerteranno i futuri sviluppi giudiziari. Ma dalle carte dell’inchiesta viene fuori che i pentiti lo ritengono un esponente di spicco della cosca, tanto più che tra i suoi dipendenti figurano uomini riconosciuti come membri del clan o di fazioni alleate. Già sorvegliato speciale, coinvolto nella maxi operazione “Eclissi” del ’96, i pentiti lo ritengono “uomo d’onore”.

Se Antonio Sestito lo inquadra come esponente “di rilievo”, Antonio Cicciù ricorda ancora quando sparò in un’officina di Cariati a un uomo a cui poi il pentito avrebbe dato 4 milioni di ex lire perché nel processo dichiarasse che aveva colpito Esposito con un bastone per consentirgli di imbastire la tesi della legittima difesa. Addirittura Cicciù ha raccontato che fu lui a togliere l’arma dalle mani ad Esposito per impedirgli di continuare a sparare dopo che aveva ferito quell’uomo gravemente al petto. Esposito avrebbe anche partecipato al “battesimo” di ‘ndrangheta in cui Cicciù, nel lontano ’92, ricevette la “dote” di “camorrista con i ferri”. Per l’ex boss crotonese Pino Vrenna, era uno che «partecipava alle azioni di fuoco per conto degli Arena», mentre Luigi Bonaventura racconta che «dopo la morte di Franco Papaleo si era defilato», mantenendo buoni rapporti con le due fazioni del clan di Isola (l’altra è quella legata alla famiglia Nicoscia). Che facesse parte di un gruppo armato “rispettato” nel contesto ‘ndranghetistico lo dice anche Salvatore Cortese, ma se ne sarebbe allontanato perché, appunto dopo l’uccisione di Papaleo, «c’era il rischio che potevano uccidere anche lui».

Bonaventura aggiunge che c’era  Esposito nel gruppo di fuoco (composto anche dal pentito, da Papaleo, Gianni Bonaventura, Domenico Riillo e altri) che nel quartiere Fondo Gesù di Crotone nel ’92 andava a caccia di un obiettivo del clan avverso Gumari-Covelli. Il bersaglio principale era Franco Gumari detto “Amsterdam”. «Mi travestii, come fece anche Esposito…mi diedero una parrucca, barba e baffi finti e uscimmo in azione con due macchine a staffetta… eravamo con una mitraglietta, una 357 magnum, una 9×21, un fucile a calibro 12 a canna mozzata e uno a canna lunga». Spunta una pattuglia dei carabinieri mentre Esposito si trova fuori dall’auto da cui era sceso per fare un bisogno. Ne nasce un inseguimento e, se Bonaventura semina i carabinieri per trovare rifugio dagli alleati del quartiere Papanice Leo Russelli e Luca Megna, Esposito scappa a piedi «portandosi dietro» fucile e pistola che riesce a nascondere, dandosi una “ripulita” a casa di Egidio Cazzato, allora pezzo da novanta della ‘ndrangheta crotonese.

Un altro pentito, Vittorio Foschini, in un interrogatorio più datato, accusa Esposito di aver fatto parte, insieme a Papaleo, del gruppo di fuoco che uccise Giovanni Vatalaro, su mandato di Cazzato che voleva vendicare il figlio e che, a missione compiuta, se ne “vantava”.

Ma veniamo all’ascesa imprenditoriale. Pino Giglio ha riferito di prestanome di cui si avvarrebbe Esposito, che non può avere certificazione antimafia, e sostiene che sarebbe legato a “Marrelli” a cui «assicura a buon mercato il frumento impiegato come combustibile in una centrale che produce energia». Il riferimento sarebbe all’approvvigionamento di materie prime per il funzionamento dell’impianto dell’azienda “Le Verdi Praterie” già al centro di un’altra inchiesta in cui si ritrova imputata l’ex presidente della Regione Calabria. Il pentito Dante Mannolo ricorda di essere andato col padre Alfonso, boss di San Leonardo di Cutro, a fare visita a Esposito per i funerali del genitore e che i due si salutarono affettuosamente; e parlando della situazione della ‘ndrangheta isolitana l’imprenditore avrebbe appunto detto di volersi “defilare”.

Oggi ci sono nuove emergenze, oltre alla reputazione di “uomo d’onore”: dai rapporti con la criminalità organizzata romana a quelli col genero Rocco Devona, condannato per associazione mafiosa in quanto membro apicale della cosca Megna, al coinvolgimento in vicende di usura ed estorsione. E dalle carte spunta anche una visita al boss vibonese Rocco Anello.

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