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Un momento delle perquisizioni effettuate questa mattina

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Cristallizzata l’influenza e l’eco criminale di Diego Mancuso che, anche grazie all’apporto prestato da Peppone Accorinti, presunto boss di Zungri, ha mantenuto un ruolo di primo piano all’interno dell’organigramma criminale univocamente incentrato sul “Crimine”, vale a dire Luigi Mancuso

VIBO VALENTIA – L’indagine denominata “Olimpo” trae la propria origine dalla complessa manovra investigativa coordinata dalla Dda di Catanzaro, tesa a disarticolare le più importanti strutture mafiose operanti sul territorio della Provincia di Vibo Valentia, suddiviso criminalmente in decine di ’ndrine e locali, facendo luce sulla loro composizione, le funzioni, i livelli gerarchici e l’adesione alle regole formali proprie del cosiddetto “Crimine di Polsi “.

L’attività era culminata il 19 dicembre 2019 con il blitz di “Rinascita-Scott” che aveva portato all’emissione di 334 misure cautelari per reati, contestati a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, detenzione di anni, traffico di stupefacenti, truffe, turbativa d’asta, traffico di influenze, corruzione ed altro.

Tra le numerose Locali di ’ndrangheta individuate nell’ambito di quel provvedimento, il Gip di Catanzaro certificava l’esistenza e l’operatività della Locale di Limbadi e Nicotera e delle ’ndrine operanti sui territori di Ricadi, Tropea e Parghelia, al cui interno è stata documentata la partecipazione, con ruoli diversi, delle famiglie Mancuso e La Rosa, e dei rispettivi accoliti.

Quanto alla famiglia dei La Rosa, inoltre, le caratteristiche salienti del sodalizio, operante nel territorio di Tropea e dintorni, sono risultate compendiate nella sentenza 1279/2015 (processo “Peter Pan”) emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro. L’indagine “Olimpo” ha, quindi, ad oggetto la capacità di infiltrazione delle singole articolazioni nel tessuto imprenditoriale, mediante una serie di condotte estorsive, attinente alle strutture insistenti sulla “Costa degli Dei”.

In particolare, è stata documentata la pervasività della ’ndrina dei La Rosa a Tropea nell’hinterland del comune costiero, facendo rilevare la “spiccata capacità di controllo del territorio esercitata dall’organizzazione rispetto a qualsivoglia iniziativa imprenditoriale, anche in ragione dell’eco criminale derivante dai trascorsi giudiziari dei maggiorenti della famiglia”.

Secondo le indagini, la famiglia di Tropea appare, dunque, pienamente “inserita nel contesto economico locale e risulta dotata, altresì, di una spiccata capacità di ingerenza tanto nelle iniziative imprenditoriali attinenti il settore turistico, alberghiero e della ristorazione, quanto nel controllo relativo al sistema delle forniture nel circuito delle medesime strutture”.

In tale contesto, le investigazioni hanno, inoltre, cristallizzato l’influenza e l’eco criminale di Diego Mancuso, ritenuto esponente di vertice dell’articolazione ’Mbrogghia (interna alla “famiglia”) che, anche grazie all’apporto prestato da Peppone Accorinti, presunto boss di Zungri, ha mantenuto un ruolo di primo piano all’interno dell’organigramma criminale univocamente incentrato sul “Crimine”, vale a dire Luigi Mancuso.

Le indagini hanno, poi, documentato come sia divenuto vantaggioso, dalla prospettiva degli imprenditori, “affrancarsi dal ruolo di vittima e percorrere la strategia assecondando gli interessi della criminalità organizzata e mutuando così un guadagno in termini di garanzia di occupazioni e forniture sottratte alla regola della concorrenza. La logica dell’“utile” trova, quindi, supporto in un sistema di corruttela diffuso e di derise istituzionali ira grado di incidere profondamente sull’azione della pubblica amministrazione, condizionandone l’operato in funzione di un’apparente “efficienza” scorra, però, dai principi di legalità, imparzialità e trasparenza”.

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