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Pale eoliche - immagine di repertorio

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Eolico in Calabria, l’analisi del professor Daniele Menniti, ordinario di Sistemi elettrici per l’energia dell’Università della Calabria

«IL problema dell’ambiente ora sono le fonti di energia rinnovabile? Se è così che la pensiamo, allora, come dico spesso alla fine dei miei interventi sul tema, dobbiamo immaginarci sul Titanic che sta affondando e c’è una mamma che sgrida la figlia, perché fa rumore e le impedisce di ascoltare l’orchestra che suona. Detto altrimenti, noi ci arrabbiamo per la pala che ci deturpa la vista del paesaggio, mentre il pianeta sta andando a rotoli».

Il professor Daniele Menniti, ordinario di Sistemi elettrici per l’energia dell’Università della Calabria, non ha dubbi. Né “i numeri” dell’eolico in Calabria – 440 impianti installati, 157 nuovi progetti presentati, 6 proposte offshore tra il golfo di Squillace e Corigliano Rossano – lo impressionano.

Perché i numeri a cui bisognerebbe badare, dice, sono altri. «Si sente spesso ripetere questa storiella per cui la Calabria produce più energia rispetto al suo reale fabbisogno, per cui non sarebbe necessario altro. Lasciando intendere che ci sia quasi un surplus di energia prodotta da fonti rinnovabili. Non è così: è vero, la Calabria utilizza, per la produzione di energia elettrica, circa un terzo dell’energia che produce. Ma l’eccedenza non arriva dalle rinnovabili – spiega Menniti – ma dal gas bruciato nelle centrali termoelettriche».

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IL BILANCIO DELL’ENERGIA ELETTRICA IN CALABRIA

Ed ecco i numeri, ricavati da Terna. «Nel 2020 abbiamo prodotto un’eccedenza pari a 10mila 437 gigawattora. In Calabria la richiesta di consumi si è fermata a 5mila 814 gigawatt ora (il dato è riferito al consumo per la produzione di energia elettrica, tema primario visto che la tendenza è verso l’elettrificazione dei consumi, ndr).

Quanta però dell’energia usata – continua il professore – arriva dalle rinnovabili? Il calcolo è facile. Dal fotovoltaico ricaviamo appena 681 gigawattora, dall’idroelettrico 883 gigawattora, dall’eolico 2mila 132. Sommati arriviamo a 3696 gigawattora: non bastano a coprire il nostro fabbisogno, figuriamoci se determinano il surplus che esportiamo. L’eccedenza arriva dalla produzione delle quattro centrali termoelettriche (Altomonte, Rizziconi, Scandale e Simeri crichi) e dall’uso, quindi, del gas». Gas che importiamo dall’esterno, perché le estrazioni interne hanno subito dal 2004 al 2022 un repentino crollo.

GRANDI ‘CONSUMATORI’ DI GAS

Menniti tira fuori un altro dato, e la fonte stavolta è il ministero dell’Ambiente. «Al 2020 la Calabria risultava al quinto posto, in Italia, per consumo di gas destinato alla generazione di energia elettrica: 2 miliardi 250 milioni di metri cubi di gas, bruciati nelle centrali termoelettriche. Le Regioni che ci precedevano erano Lombardia, con 5 miliardi, e poi Piemonte, Emilia, Puglia. Fate il rapporto tra le popolazioni residenti e vedrete quanto questo dato appaia eclatante.

Siamo, insomma, tra le regioni che bruciamo più gas – commenta il docente – Se andiamo, però, a verificare l’uso di gas per attività produttive e industriali, scopriamo che siamo penultimi. Come vedete, questo can can che si fa sull’eccesso di energia prodotta, lasciando intendere che sia dovuto alle fonti rinnovabili, non ha fondamenta. Puntiamo il dito contro le pale, ma non badiamo alle emissioni climalteranti e a tutto il resto che riversiamo in atmosfera bruciando gas».

Al danno ambientale, dice Menniti, si aggiunge poi quello economico: le rinnovabili, sottolinea, sono anche una leva di sviluppo. «Mentre continuiamo a bruciare gas, non creiamo attività imprenditoriali che ci permetterebbero non solo di produrre energia pulita per il nostro fabbisogno, ma anche di venderlo a terzi», dice.

Una ‘rivoluzione’ che, con le comunità energetiche, può vedere protagonisti gli stessi cittadini, che da consumatori possono diventare produttori. «Invece di far crescere ricchezza qui, la mandiamo fuori, acquistando gas. Questo tentativo maldestro di ostacolare la nascita di altri impianti a fonti rinnovabili, quindi, cui prodest? Beh, la risposta è semplice: opporsi alle fonti rinnovabili, giova solo alle lobby delle fonti fossili» continua Menniti.

PARADOSSI

«È curioso – prosegue poi il professore – notare come da ogni parte si invochi il ricorso all’elettrico. Esultiamo, giustamente, per l’elettrificazione della ferrovia jonica: si guadagna in efficienza e anche sostenibilità. Ma quei treni poi come li alimentiamo? Con il gas delle centrali. E perché non realizzare un parco offshore a 20 chilometri dalla costa per dare energia ai treni sulla jonica? È paradossale: vogliamo i treni elettrici, perché ecologici, ma non vogliamo che vengano alimentati con le rinnovabili».

L’IMPATTO SUL PAESAGGIO

Le pale, però, non c’è dubbio: si fanno notare. Immaginarle – è uno dei progetti presentati – attorno al Parco dei calanchi di Cutro dove Pasolini girò alcune scene del Vangelo, fa impressione. La questione dell’impatto sul paesaggio è una di quelle sollevate da chi oggi teme “l’invasione” dell’eolico.

«Ragioniamo su un dato. I danni delle emissioni delle centrali a gas dureranno per cento anni, sono irreversibili. Gli impianti fotovoltaici o le pale eoliche potranno essere rimossi e smaltiti, in modo sostenibile, il giorno in cui avremo trovato un’altra soluzione per l’energia pulita. L’anidridre carbonica non si smaltisce. Le pale eoliche sono fatte d’acciaio, vetro e terre rare: tutto riciclabile. Le fondamenta? Vuole non si trovi una soluzione per rimuoverle?

Da padre di famiglia, pensando al futuro dei miei nipoti – osserva Menniti – direi intanto di spegnere le centrali a gas che creano un danno irreversibile e di potenziare la produzione da fonti rinnovabili. E quando avremo la fusione nucleare, potremo smaltire impianti fotovoltaici ed eolici. L’impatto paesaggistico di questi impianti c’è, è vero, ma è il male minore ed è reversibile. Riflettiamoci bene: la difesa del paesaggio contro le fonti rinnovabili avvantaggia solo le lobby del gas e dei combustibili fossili».

Si potrebbe scegliere i siti più adatti in base all’impatto sul paesaggio? «Non conosco i criteri con cui vengono autorizzate le richieste – risponde il docente – Ma le pale si installano dove c’è vento. E più vento c’è, meno pale servono».

LA DIPENDENZA DAL GAS

Il conflitto ucraino-russo ha mostrato, lo scorso inverno, quanto possa costare la dipendenza dal gas altrui. E non c’è possibilità di spezzarla, osserva il professore, senza le fonti rinnovabili. «In Italia abbiamo, tra riserve ‘certe’ e ‘probabili’ 92 miliardi di metri cubi di gas, distribuiti su tutto il territorio. Nel 2020 il nostro consumo di gas (per lo più importato, ndr) è stato di 76 miliardi di metri cubi. Pur andando a forare tutte le riserve, quindi, la nostra autonomia coprirebbe poco più di un anno».

TROPPI PROGETTI IN CALABRIA?

I 157 progetti presentati per la Calabria ‘valgono’ 13 gigawatt di potenza. Ma il “Piano aree idonee” assegna alla Calabria 3,1 gigawatt entro il 2030. Se venissero realizzati, calcolando che da ogni gigawatt di potenza si ottengono in media 2000 gigawattora, arriveremmo a una produzione di oltre 6mila gigawattora di (nuovo) eolico. «Aggiunta alla produzione attuale da fonti rinnovabili, potremmo arrivare a spegnere la metà circa delle centrali termoelettriche – dice Menniti –Avremmo dimezzato la dipendenza dall’estero per il gas».

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