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Con 202 arresti (blitz Reset), la Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri ha smantellato il “Sistema Cosenza”, sgominando una confederazione di sette famiglie di ‘ndrangheta e nella rete è finito pure il sindaco della vicina Rende nonché presidente dell’Anci Calabria, Marcello Manna, noto avvocato penalista, accusato di voto di scambio politico-mafioso.

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Operazione “Reset”, l’hanno chiamata. «Forse è la più estesa indagine su Cosenza e riguarda un’associazione mafiosa, un’associazione finalizzata al traffico di droga e tutti reati fine caratteristici della criminalità organizzata, quindi estorsioni, usura e anche rapporti con la pubblica amministrazione. Sono indagati anche tre professionisti», ha spiegato Gratteri nel corso di una conferenza stampa durante la quale ha fornito notizie assai scarne, facendo riferimento alle nuove norme sulla presunzione d’innocenza.

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«La stampa ha potere – ha detto ai giornalisti – chiedete ai vostri editori di dire ai politici di cambiare la legge, ma finché non cambia non intendo essere né indagato né sottoposto a procedimento disciplinare».

OPERAZIONE RESET A COSENZA, CON GRATTERI UN’AZIONE INTERFORZE

Un’inchiesta interforze – soltanto gli operatori della polizia di Stato impiegati sono stati 600, ma la collaborazione con centinaia di carabinieri e finanzieri è stata strettissima – che ha ricostruito un romanzo criminale cosentino, tra controllo delle piazze di spaccio, racket, usura e gestione del gaming, che andava avanti da 20 anni ma, soprattutto, avrebbe svelato il patto col clan D’Ambrosio stretto da Manna per essere eletto sindaco di Rende. Il pool antimafia guidato dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla (e composto, inoltre, dai pm Vito Valerio e Corrado Cubellotti) è partito dalle dichiarazioni del pentito Adolfo Foggetti, che «costituiscono un ulteriore elemento a fondamento della sussistenza delle esigenze cautelari, evocando contatti duraturi nel tempo con la criminalità organizzata cosentina» e si riferiscono alla campagna elettorale per le Comunali del 2014.

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«Tutti gli appartenenti al clan federato Rango-Zingari e Lanzino-Ruà – afferma il collaboratore di giustizia – si sono mobilitati per fare la campagna elettorale all’avvocato Manna, ad eccezione di Maurizio Rango, il quale da me interpellato e richiesto sul punto ebbe a riferirmi che i suoi familiari e/o parenti residenti in Rende erano particolarmente legati a Principe». Il riferimento è all’ex sindaco Sandro Principe che, è il caso di precisarlo, è stato però assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “Sistema Rende”. Foggetti rievoca il sostegno, a suo dire, offerto al penalista e dice che sarebbe stato anche ringraziato da Manna in persona per l’apporto elettorale.

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RESET A COSENZA, IL PESO DELLE INTERCETTAZIONI NELL’INCHIESTA DI GRATTERI

Il resto lo hanno fatto le intercettazioni dalle quali emergerebbe «la sussistenza di un rapporto tra Massimo D’Ambrosio e Pino Munno, assessore (ai lavori pubblici, manutenzioni, e rapporti con la Rende Servizi srl, e benessere animali) del Comune di Rende già nel 2014». Le accuse, però si riferiscono alle elezioni del 2019. Secondo la Dda, Massimo D’Ambrosio si sarebbe adoperato per far eleggere i due amministratori rendesi coinvolti (anche Munno si trova ai domiciliari) e, in particolare, avrebbe contattato «diverse volte» Munno «per chiedergli di risolvere problemi di manutenzione delle strade e/o dei palazzi, rivolgendo tali richieste con tono estremamente confidenziale, e avendo sempre risposte affermative da parte del politico».

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L’assessore, stando a un’intercettazione captata nel maggio 2019, è uno che «non chiude mai la porta» e il clan, anziché limitarsi a incassare i “classici 100 euro a voto” («ho rifiutato cento euro a voto»), avrebbe individuato «il tornaconto in altre “utilità”». Dando una «buona mano quartiere di competenza, ossia il Cep (“io voglio guardarmi un poco la Cep … mi interessa là a me”), D’Ambrosio può affermare al telefono che «noi il nostro dovere lo abbiamo fatto». Alla base del presunto accordo ci sarebbe stata la gestione del palazzetto dello sport, tanto che D’Ambrosio avrebbe atteso l’esito della competizione: «vediamo il risultato e poi partiamo subito all’arrembaggio».

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SETTE GRUPPI CHE SI SPARTISCONO IL TERRITORIO

Ma è soltanto un capitolo del più vasto romanzo criminale scritto e riscritto da sette gruppi che si spartirebbero, finita la stagione delle guerre, gli affari illeciti nella città bruzia. Uno dei più lucrosi era quello delle sale giochi e delle scommesse. Monopolio dei clan.

Un business ripercorso dai collaboratori di giustizia che all’unisono hanno inguaiato l’assessore ai Lavori pubblici del Comune di Cosenza, Francesco De Cicco, anche lui ai domiciliari (e peraltro ex consigliere comunale) ritenuto «un anello del sistema» dai pentiti e accusato di intestazione fittizia, con aggravante mafiosa, del Popily Street, circolo ricreativo che si occupa di scommesse e videogiochi, ma considerato anche un “collaboratore” nell’ambito dell’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita del gaming.

Non solo tentacoli sui giochi. La Dda di Catanzaro ha ridisegnato la geografia criminale del territorio cosentino, individuando sette gruppi facenti capo alla cosiddetta “Confederazione”, al cui vertice troviamo Francesco Patitucci (già reggente per conto di Ettore Lanzino). Accanto troviamo il gruppo Porcaro: anch’esso operante a Cosenza, con ruolo apicale rivestito da Roberto Porcaro; e ancora il gruppo degli Abbruzzese, la famiglia “Banana” e quella degli «altri Zingari».

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A Roggiano Gravina la supremazia sarebbe della famiglia Presta, infine, troviamo i gruppi Di Puppo e quello capeggiato dai D’Ambrosio, il cui core business sarebbero le estorsioni. Un “sistema” raccontato nei dettagli dai pentiti. Secondo i collaboratori i proventi delle attività illecite confluivano nella bacinella comune. Da quì venivano suddivisi tra i gruppi degli “Zingari” e quelli degli “Italiani”. Le regole sono le regole. «Ogni spacciatore che “lavora” a Cosenza è vincolato con uno dei gruppi che fa parte del “Sistema”».

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RESET A COSENZA, GRATTERI BLOCCA UNA PIOVRA DIFFUSA IN TUTTO IL TERRITORIO

Una piovra capillare, che avviluppava anche il mondo degli spettacoli. Ai domiciliari, per illecita concorrenza con l’aggravante mafiosa, anche il promoter Francesco Occhiuzzi per la scelta di una ditta di security ritenuta vicina al clan Muto di Cetraro, quella riconducibile a Giuseppe Caputo. I tentacoli stavolta erano, sempre secondo la Dda di Catanzaro, sull’edizione 2019 della kermesse “Moda Mare”.

Ma le mani dei clan si erano allungate anche sui fondi del progetto “Resto al Sud” erogati da Invitalia spa: nei guai, per truffa aggravata, uno dei commercialisti più in vista a Cosenza, Andrea Mazzei, finito in carcere per una pratica di finanziamento in favore di personaggi delle cosche e basata su fatture false. I colletti bianchi coinvolti sono diversi. All’avvocato Paolo Pisani i giudici hanno applicato la misura cautelare del divieto di esercitare la pratica forense per la durata di un anno. E i beni sequestrati dai finanzieri dello Scico e da quelli del Gico di Catanzaro ammontano complessivamente a 72 milioni: i sigilli sono scattati anche su uno yacht e a un aeromobile ultraleggero.


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